Pizzica, stuzzica, spizzica, spilluzzica
La Monnaie di Bruxelles inaugura la propria stagione d’opera con una vertiginosa, irrefrenabile, imperfettibile produzione di Falstaff firmata da Laurent Pelly. Trasparente la concertazione di Alain Altinoglu e splendido il debutto di Simon Keenlyside nei panni di Sir John.
Bruxelles, 2 ottobre 2025 - Non già in una locanda nel regno di Enrico IV d’Inghilterra ma in un claustrofobico bar vintage dall’accentuata fuga prospettica ritroviamo Sir John all’inizio del Falstaff firmato da Laurent Pelly; sarà poi la collerica escandescenza dello stesso Sir nel monologo dell’onore a far detonare pareti e soffitto della scena sapientemente costruita da Barbara de Limburg, per far posto ad una casa Ford tutta disseminata da labirintiche rampe di scale. In questo spazio tanto minuziosamente studiato si snodano poco più di due ore nette di teatro allo stato puro, fatto di occhiate, gesti, azioni sempre improntati ad un’imperfettibile (poiché perfettamente congeniata) sincronia con i tempi della partitura verdiana. Impossibile passare in rassegna tutti i colpi da maestro che si susseguono lungo l’arco di tutta la serata: basti ricordare solamente la chiusura di un sipario a quinte e burattino rotante total black, che isola nel proscenio il ricco business-man Ford all’inizio del suo monologo, per poi rapidamente rischiudersi su una pletora di suoi dipendenti, intenti a deriderne le corna, in una lampante proiezione drammatizzata dei suoi incubi. Staccando gli occhi dai dettagli, non si può non riconoscere una cifra complessiva in cui gli ingredienti di una commedia in perfetto stile british ossia l’ironia, lo humor, il patetismo, il disincanto, la cattiveria e la bonomia, risultano giustapposti in uno spettacolo che – complici i costumi dello stesso Pelly e le luci di Joël Adam – non sarà affatto iperbolico definire memorabile; sicché sorprende non poco la circuitazione limitata fra la Tokyo Nikikai Opera e l’Opéra National de Boredaux, che l’hanno coprodotto assieme alla Monnaie di Bruxelles, dopo il battesimo al Teatro Real di Madrid nel 2019.
Dopo aver passato in rassegna tutti i grandi personaggi verdiani pensati per la corda baritonale, da Posa a Simone, nonché dopo aver osservato Sir John vestendo i panni di Ford, Simon Keenlyside approda al ruolo eponimo nel pieno di una compiuta maturità che gli consente di tratteggiare un personaggio complesso, sfaccettato, umano, al contempo collerico e giocondo. La forma vocale è magnifica, la dizione sorprendentemente curata, la musicalità di alta classe, l’emissione sempre ben a fuoco, il peso specifico assai commisurato, la presenza scenica da consumato attore di prosa: dopo una prova sì felice su tutti i piani non può che auspicarsi la testimonianza discografica e in video, nonché la consacrazione in terre verdiane.
Il contorno è onorevole anche se impari, e non di poco. Buono il comparto maschile, eccezion fatta per il troppo stentoreo Cajus di John Graham-Hallè, a partire dalla coppia di scagnozzi Bardolfo e Pistola, rispettivamente Mikeldi Atxalandabaso e Patrick Bolleire, per giungere al più che soddisfacente baritono belga Lionel Lhote, che assicura a Ford una solerte realizzazione. La coppia italo-ucraina di amorosi è formata da Benedetta Torre e Bogdan Volkov, i cui timbri pregevoli duettano con quell’apprezzabile freschezza che invece difetta fra le altre comari. Daniela Barcellona, alle prese con Quickly, risolve con invidiabile verve scenica e qualche disomogeneità di volume fra i registri, mentre la Meg di Marvic Monreal ha dizione oscura tanto quanto faticosa è l’amministrazione del legato. Nei panni della sagace Alice si ritrova l’inglese Sally Matthews, dalla linea di canto macchinosamente gestita, prima ancora che dalla voce vetrosa, che non eguaglia (e non di poco) il connazionale Keenlyside neanche nella cura della parola verdiana; presenza fidelizzata delle stagioni della Monnaie, la si ritroverà prossimamente in una Norma che non rimpiangeremo di non poter seguire.
Si rimpiange invece che l’intelligenza musicale e l’eleganza del gesto di Alain Altinoglu, direttore principale alla Monnaie, per nulla frequentino le latitudini più basse: l’ordito contrappuntistico dell’estrema partitura verdiana è reso con una chiave interpretativa analitica che poco concede agli eccessi, in grande sintonia con la cifra umoristica dello spettacolo. Oltre all’eccellente coro preparato da Emmanuel Trenque, le masse orchestrali della Monnaie assicurano alla lettura del maestro francese una buona trasparenza, appena appannata da una sezione di ottoni non sempre inappuntabile. Con una lettura siffatta si giunge con un malinconico sorriso alla fuga finale, allorquando Pelly – dopo aver ampiamente pizzicato, stuzzicato, spizzicato e spilluzzicato – regala l’ultimo colpo di teatro, ergendo un grande specchio ad ammonire il pubblico, riflettendolo: «Tutto nel mondo e burla».
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