L’Ape musicale

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Parigi 1835. Bellini, Donizetti e Rossini. 

Il 10 febbraio 1834, Rossini scriveva a Donizetti:

[…] bisogna venire a Parigi e comporre una bell’opera semiseria la Stagione p(rossim)[…] farete qui una bella e Rapida Fortuna […] I Teatri Francese [sic] mancano di compositori, voi conoscete la Lingua, avrete molta facilità, e non dubito riuscirete meravigliosamente […] Lablache, Tamburini, Rubini, la Grisi (che tanto è amata) sono per ora [i punti]cardinali della Compagnia, Ivanoff, Santini ne fanno parte, non troverete facilmente più bella occasione per sviluppare il vostro bel Talento.

Il 9 maggio è già firmato il contratto, da cui è chiaro che il soggetto è pure scelto con l'intervento di Rossini, e  il 7 ottobre 1834 Donizetti scrive a Ferretti «che il Marino Faliero per Parigi è finito, o almeno mi manca un sol duetto» e che l’aveva composto «con grandissima simpatia». Ancora dall'epistolario donizettiano abbiamo espressioni di soddisfazione per il lavoro.

il soggetto è quello che si convenne già col sig. Cav. Rossini, Marino Falliero, soggetto, com’Ella ben sa de’ più teatrali e che presenta molte condizioni favorevoli per l’esimia compagnia che lo dovrà eseguire. I caratteri non possono essere meglio appropriati ai quattro primi artisti e l’importanza eguale sostenuta da’ medesimi nell’azione è ciò che potevasi desiderare di migliore.

L’azione procede a un dipresso come nella tragedia del sig. Delavigne, la quale essendo notissima, offre una difficoltà di meno a chi scrive in una lingua che non è quella del suo pubblico[…].

Tuttavia, la campana del rivale è di tutt'altro avviso e il 27 febbraio 1835 Bellini comunica a un amico napoletano: «So che Rossini gli ha fatto rifare l’intr(o)d(uzio)ne, il finale e molti altri pezzi e strette moltissime». Anche dopo la prima il solito acido e autocompiaciuto Bellini esalta il trionfo ottenuto dai Puritani sottolineando l'accoglienza tiepida ottenuta dal Marino Faliero. Eppure Donizetti, con ben altro spirito, riferisce sì del grande successo del collega, ma si mostra anche soddisfatto della risposta dei parigini alla sua opera.

Certo è che se i consigli di Rossini determinarono una completa revisione della stesura originaria napoletana con l'intervento del librettista Agostino Ruffini, è anche appurato che i materiali musicali vennero in gran parte riadattati e redistribuite che, quindi, l'opera non sia stata riscritta, come vorrebbe far intendere Bellini, tant'è vero che non è peregrina l'ipotesi di una ricostruzione del primo Marino Faliero.

La versione originaria differisce innanzitutto nella distribuzione dei quadri. Il primo atto si svolge interamente negli appartamenti del Doge, mentre il secondo e il terzo presentano un mutamento interno ciascuno: il palazzo di Leoni e il campo di San Giovanni e Paolo; ancora gli appartamenti del Doge e la Sala del Consiglio. A Parigi, invece, il primo atto si articolerà in tre quadri (Arsenale, appartamenti del Doge, palazzo di Leoni), il secono in uno soltanto (campo di San Giovanni e Paolo), il terzo in due (appartamenti del Doge e sala del Consiglio). Si potrebbe pensare a una struttura meno equilibrata, ma in realtà gli interventi parigini vanno in direzione di una drammaturgia più stringente e non meno efficace (anzi, verrebbe da dire, dalla lettura del libretto, ma in assenza di confronto teatrale lasciamo il beneficio del dubbio).

Nel libretto napoletano di Bidera, l'opera si apriva con Israele e i suoi che chiedono udienza al Doge per l'oltraggio subito da Steno. Chiaramente, mostrare  la prepotenza del nobile e lo schiaffo al veterano, come a Parigi, suscita un impatto ben diverso, anche perché il quadro dell'Arsenale (assente in Byron come in Delavigne) permette anche di contestualizzare già il legame fra il Doge e il popolo, che ne canta le glorie e depreca le ingiurie subite. Quindi, dopo la cavatina del tenore veniva quella della primadonna, che avrebbe inglobato un importante pertichino tenorile trasformandosi quasi in un duetto, come avviene poi a Parigi, in cui i due (mancati) amanti duettano in un mezzo più convenzionale riservando poi l'assolo grandioso della primadonna all'ultimo atto. D'altra parte, la storia d'amore è quel che davvero importa meno, giusto un pretesto per far morire Fernando infuriare il Doge e scatenare la congiura, per uno scontro e una riconciliazione finali con Elena.

La chiusura originaria del primo atto con il duetto fra Faliero e Israele richiedeva proporzioni più ampie, con l'intervento dell'intero coro dei congiurati. Una scena di sicuro effetto, forse ispirata al finale secondo di Guillaume Tell, ma che velocizza di molto le fasi della congiura e del coinvolgimento del Doge, trasformandosi quasi in un doppione del finale secondo. Invece a Parigi il duetto rimane un confronto privato cui faranno seguito un secondo colloquio nella festa di Leoni (a pieno titolo il momento ideale per il grande finale centrale dell'opera con la presenza di tutti i personaggi e del coro) e, soprattutto, la svolta decisiva “presso il tempio di Giovanni” al momento dell'incontro effettivo con i congiurati e la scoperta dell'assassinio di Fernando da parte di Steno. L'inserimento della grande aria del tenore prima del duello nel secondo atto parigino è senz'altro un tributo a Giovan Battista Rubini, ma conferisce anche più ampio respiro e drammaticità al quadro che arriva a occupare un atto intero. La maggiore importanza del tenore, e del suo amore senza speranza per la moglie dello zio, acuisce la reazione di Falliero alla sua morte, così come i tormenti e i sensi di colpa di Elena nel terzo atto, senza contare che il tenebroso recitativo, il cantabile acutissimo e doloroso, la cabaletta furente e disperata contribuisocno non poco alla tinta cupa del secondo atto, l'unico in esterno.

Infine, nell'ultimo atto, da un lato a Parigi si amplia l'aria di Israele con maggior risalto al valore del martirio per l'ideale, dall'altro si evita l'indugio della preghiera di Faliero, per la quale basta, poi, il canto congiunto con Elena “Santa voce, al cuor risuona”. Qui, a Napoli ancora si movimentava l'azione con un sussulto di ribellione e speranza. A Parigi l'uscita di scena di Faliero dopo l'ultimo confronto con la moglie, la consapevolezza del tradimento (non consumato) con l'amato nipote e l'estremo perdono tutto è finito. Non c'è nemmeno più la forza di una cabaletta, ma Elena, sola, attonita, sillaba parole sospese muovendosi per semitoni, così da annullare anche una netta percezione dell'armonia, ripristinata solo dal terribile annuncio dell'avvenuta esecuzione.

Scena decima terza

I SIGNORI DELLA NOTTE e detti.

FALIERO Addio.

ELENA Mi lasci inpianto.

FALIERO In ciel sarai tu resa

per sempre all’amor mio.

ELENA Ah! ch’io ti perdo intanto…

FALIERO Per questa terra addio 

ci rivedrem colà. Indicando ilcielo

ELENA va ad abbracciare la croce

Degli afflitti sostegno primiero a te vengo…

ascolta alcune voci che gridano «VivaFaliero»

Faliero che viva gridan tutti…Corriam…

Scena ultima

I DIECI con le spoglie ducali [,] la corona &c.

I DIECI Di Faliero

il reo capo giustizia troncò.

Elena sviene[:] cade il sipario.

Fine

SCENA ULTIMA

ELENA e guardie.

ELENA Immobile.

Sì.–Quaggiù tutto  èfinito.– Anche il pianto è inaridito…

VOCE DI DENTRO

Al Signor alza la mente, e pietà chiedi al Signor.

ELENA

Tutto tacque?

Va verso la porta e si pone ascoltando.

Il Sacerdote per lui prega e lo consola… Egli ha detto una parola…

fu per me?

I tamburi annunziano l’esecuzione, Elena getta un grido e cade tramortita.

VOCE DI DENTRO

S’apra alla gente; vegga il fin dei traditor.


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