Il viaggio verso la distruzione dell’uomo
di Andrea R. G. Pedrotti
In occasione del Giorno della Memoria, l'Associazione Figli della Shoah, presieduta a livello nazionale dalla senatrice Liliana Segre, organizza a Verona una mostra particolarmente significativa per tenere viva la riflessione sulla tragedia dell'Olocausto.
Verona, le iniziative per il Giorno della Memoria
Verona, Viaggio nella memoria Binario 21
L’Associazione Figli della Shoah, sezione di Verona, da ormai oltre tre lustri non manca di far sentire la sua presenza durante la settimana che fa da cornice al 27 gennaio, giornata della memoria, e non solo.
Come avevamo documentato lo scorso anno, a Verona dal 2017, l’Associazione si è impegnata nell’allestimento di una mostra, denominata “Binario 21”. Per chi non ne fosse a conoscenza, il binario 21 della Stazione Centrale di Milano fu il punto esatto da cui partirono i convogli contrassegnati dalla sigla RSHA (ReichsSicherheitsHauptAmt, Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich); i deportati venivano fatti salire sui vagoni, che poi venivano collocati sul binario, fino a formare il convoglio vero e proprio. Si trattava di treni merci, con oltre cinquanta persone per ogni vagone. L’antisemitismo hitleriano vedeva gli Ebrei come il nemico assoluto, l’unica comunità in grado di contrastare la vittoria del nazionalsocialismo e il dominio della razza ariana. Per questo motivo questi treni della morte avevano la precedenza su ogni altra attività del Reich, anche su quelle belliche.
La procedura era quella della disumanizzazione: ai prigionieri Ebrei veniva tolto per prima cosa il nome, e assegnato un numero, e da uomini diventavano “Stücke” (pezzi) da eliminare scientificamente.
Non più situata all’interno del palazzo della Gran Guardia, ma in un Gazebo nei pressi dei giardini di piazza Bra, di fronte ai portici del Liston, la mostra, curata dall’associazione veronese, vuole ricordare proprio questo.
Il percorso comprende una spirale, alle cui pareti color del cielo sono stati appesi una serie di pannelli che, nella parte esterna che costeggia i bianchi teli del Gazebo, racconta i principali momenti storici che hanno condotto alla Shoah, dalla presa del potere del nazifascismo in Europa, fino alle leggi di Norimberga (1935), che decretarono l’ufficiale persecuzione degli Ebrei in Germania, alle leggi razziali italiane (1938), per arrivare alle deportazioni vere e proprie. La spirale esterna cessa con due pannelli che distinguono la natura dei campi di Concentramento, da quelli di Sterminio. Quelli di Concentramento erano destinati ai deportati che per scelta, eroicamente, non si erano alleati al III Reich di Adolf Hitler; al contrario i campi di Sterminio erano destinati agli "Stücke" Ebrei che non avevano alcuna possibilità di salvezza, poiché la loro eliminazione era legata a una classificazione razziale e genetica, che li condannava dalla nascita, senza scampo. Erano “pezzi” di un popolo e di una cultura da eliminare, indipendentemente dalle loro opinioni politiche o dalle loro azioni. Non avevano diritto a considerarsi uomini, in quanto di origine ebraica, e per questo andavano eliminati.
All’interno della spirale una sala scura, con le storie personali e di vita di quelle persone a cui era stata strappata l’umanità. È una stanza opprimente e le pareti circondano il visitatore, con i pannelli ornati di lettere e volti di persone comuni, condannate all’inesistenza. Fra le storie raccontate, ovviamente, non poteva mancare quella di Liliana Segre, presidentessa dell’Associazione Figli della Shoah, nominata recentemente senatrice a vita dal presidente Sergio Mattarella.
Proprio nel mezzo, dell’ultima spirale abbiamo una piccola cabina con le pareti trasparenti, dentro la quale è posizionata una Menorah con i lumi accesi, poggiata su un telo azzurro, ornato dalle stelle dei deportati. Accanto ai nomi degli Ebrei deportati da Verona e assassinati dai nazisti, sette pietre, emblema del ricordo dei defunti e della continuazione della memoria a monito futuro: simboleggia la propria presenza, ma anche la rimembranza perpetua, per chi l'ha posta e per le generazioni future.
L’importanza di questo evento, che ha il suo apice nella settimana, è proprio quello di consentire alle generazioni future di conoscere ciò che è stato, impedendo alla crescente retorica antisemita di farsi largo con il racconto strumentale, che può portare i giovani a interpretazioni assai lontane dalla realtà storica.
A Verona si sono visti molti giovani e molte scuole, affinché comprendessero, ora che l’età, il processo di formazione e la fase della vita lo consente, di che cosa fu capace l’uomo contro altri uomini.
Il senso essenziale della mostra è il racconto dei nomi, i nomi degli Ebrei deportati che riecheggiano dall’altoparlante sotto il Gazebo e sui pannelli. Il “nome”, il “verbo”, la “parola” è fondamentale per la cultura ebraica e per comprendere meglio la scintilla che ha guidato la messa in opera della mostra.
Questo spunto di ragionamento mi è, personalmente, venuto alla mente in merito a una domanda posta da una professoressa intenta a visitare la mostra, la quale, avendo studiato greco antico, si domandava il preciso significato della parola Shoah, conscia dell'importanza dell'etimologia per la comprensione d'un vocabolo. La scelta della parola non è casuale, infatti Shoah non è un sinonimo del termine “olocausto”, nonostante venga utilizzata con lo stesso scopo. L’olocausto è un sacrificio, mentre “Shoah”, dall’ebraico השואה - pronuncia traslitterata Hashoah – indica una tragedia, una catastrofe, una distruzione, la distruzione dell’uomo. Questa differenza di vocaboli è la medesima indicata dai due pannelli prima dell’ultima spirale della mostra.
Oltre questa settimana il consiglio è quello di recarsi a Milano, presso il memoriale della Shoah, nei pressi della Stazione Centrale, proprio nel luogo da cui i convogli partivano per i campi di sterminio: il binario 21.
Senza far torto ad alcuno, un gran ringraziamento per aver reso possibile tutto questo nella città di Verona va al presidente della sezione locale dell’Associazione, Roberto Israel, nella speranza che altri, in molte altre città prendano esempio in futuro dal suo impegno.