Un virtuoso per Aureliano
di Roberta Pedrotti
Una splendida conferenza concerto impreziosisce il Rossini Opera Festival 2014 ricordando il piacere di fare cultura e musica ad altissimo livello coinvolgendo in un'ora e mezza di accattivante spettacolo anche il pubblico meno esperto, senza tuttavia rinunciare a una trattazione altamente specializzata e approfondita.
PESARO 17 agosto 2014 - Applausi a scena aperta e in chiusura. Un bis. Tanta attesa, sala esaurita, sorrisi e commenti entusiastici alla fine. Non stiamo parlando di un'opera o di un recital, ma di una conferenza, dell'ultimo degli incontri proposti dalla Fondazione Rossini in seno al ROF 2014.
C'è Will Crutchfield, il concertatore e revisore di Aureliano in Palmira, a sfoderare il suo talento migliore quale relatore per un tema intrigante, sì, ma anche articolato e ricco di dettagli specialisitici quale può essere l'analisi dello stile di Giovan Battista Velluti (l'ultimo grande castrato a calcare le scene e primo interprete di Arsace in Aureliano) e dell'influenza della prassi esecutiva da lui rappresentata sull'evoluzione della condotta melodica e della scrittura musicale. Nelle variazioni di Velluti si intendono in nuce formule fatte proprie da Verdi, Donizetti, Chopin, quelle appoggiature che inizialmente non vengono indicate in partitura perché naturalmente inserite dagli esecutori divengono poi parte integrante del testo; quelle arditezze armoniche sono parte fondamentale dell'emancipazione del cromatismo nel corso del XIX secolo.
Crutchfield ha il dono di saper esporre questa materia, di far comprendere quale sia il rapporto fra il canto e la storia della musica non solo vocale, e quale l'apporto degli interpreti e delle loro variazioni, con una ricchezza di dottrina appagante, rassicurante, stimolante. È un vero piacere spaziare attraverso tutte le pieghe dell'argomento con un Virgilio in grado di comunicare sia al musicologo sia al semplice appassionato, con un fiorire inesauribile di esempi condotti come in un vero e proprio spettacolo.
Ci ritroviamo nella Pesaro più autentica, la Pesaro che amiamo, dove si fanno musica e cultura a livelli altissimi, ma con gioia, sorriso sulle labbra, coinvolgendo tutti, senza timore di dover abbassare il livello, perché contenuti tanto splendidi hanno bisogno sono di essere esposti con passione, non di essere semplificati o banalizzati.
Gran parte del merito consiste anche nell'aver proposto un programma raffinatissimo, sempre legato alla carriera di Velluti e analizzato nel dettaglio con preziose annotazioni, affidato a un ben assortito gruppo di giovani cantanti.
Primo ascolto è stato, infatti, dal Carlo Magno di Giuseppe Nicolini, la Scena e aria di Vitekindo “Ecco, o Numi... Ah! Quando cesserai”, affidata a una bravissima Raffaella Lupinacci, che in questi giorni ha modo di valorizzare con il canto e la personalità la figura marginale di Publia in Aureliano in Palmira. Si conferma cantante di classe, musicalissima, di gran gusto e di mezzi ben torniti e coltivati evidentemente con cura e intelligenza, lasciandoci presagire un futuro sempre più roseo.
Da Tebaldo e Isolina di Francesco Morlacchi (altro titolo frequentatissimo da bocche e penne di musicologi quanto pressoché ignoto alla vista e all'udito) si è poi proposta la cavatina del protagonista “Quel ciglio amoroso” nella voce di Isabel Rodriguez Garcia, che sostituiva l'indisposta e prevista Giulia De Blasis senza aver avuto il tempo di preparare con la dovuta calma la sua performance, e che tuttavia ha pienamente convinto nel restituire le peculiarità del brano con un canto sempre sicuro.
Come la Rodriguez Garcia e la De Blasis, faceva parte del cast del Viaggio a Reims dell'Accademia rossiniana anche Aya Wazikono, che alle prese con gli affondi maliziosi e battaglieri di Melibea ci era parsa meno incisiva e a fuoco rispetto alla bellissima prova offerta nel rendere la squisita linea di canto della romanza “Amor soave” dalla Fedra di John Fane. Poco importa, nel levigato canto madreperlaceo qui esibito, la definizione precisa del registro, mentre le si consiglierebbe di rendere più nitida la pronuncia, in modo da valorizzare al meglio la naturale eleganza del porgere.
Il programma ufficiale era coronato da un frammento rossiniano, affrontato da Velluti in occasioni concertistiche, dal duetto del secondo atto fra Tancredi e Amenaide: “Ah! Come mai quell'anima” è intonato dalla Rodriguez Garcia e dalla Wazikono prima di un tripudio di applausi festosi, che esigono un bis, gioiosa e interessantissima perla dell'incontro: come già anticipato nella prima conferenza tenuta con Mario Martone in presentazione di Aureliano in Palmira, Crutchfield ha rinvenuto fra le variazioni attribuibili a Giovan Battista Velluti per l'opera rossiniana anche quelle per la stretta della Gran Scena, “Non lasciarmi in tal momento”, che contiene in nuce il tema di “Io sono docile” dal Barbiere di Siviglia. Ascoltando queste variazioni in un eloquente quanto spiritoso percorso a staffetta fra le tre cantanti si rimane impressionati nel constatare come il passaggio decisivo nella genesi della celeberrima cavatina di Rosina venga proprio dall'improvvisazione del grande musico, che la tradizione ci aveva invece consegnato come vanesio e delirante infiorettatore sommamente sgradito al Pesarese.
Val la pena invece ricordare sempre che la grandezza del genio creatore non consiste nell'assoluta originalità dell'invenzione, ma nella capacità di dar forma anche agli stimoli e ai materiali propri di un ambiente artistico in continua comunicazione ed evoluzione. Val la pena tener presente che il compositore non è una figura isolata, ma agisce in un clima di inesausto scambio intellettuale.
Ringraziamo il ROF, la Fondazione e Will Crutchfield (per il quale auspichiamo un contratto pluriennale almeno come conferenziere) per aver dato questo contributo a esplorare un aspetto di questo splendido scorcio d'inizio Ottocento.