L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tutto esaurito per Muti in concerto

 

Il Municipale è già tutto esaurito per il concerto del 19 marzo alle 21 che vedrà salire sul podio piacentino il Maestro Riccardo Muti alla guida dell'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. Un successo annunciato.

Un successo annunciato e prevedibile: il concerto del 19 marzo alle 21 con protagonista il Maestro Riccardo Muti alla guida dell'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini ha, infatti, registrato il tutto esaurito da alcune settimane.

Inserito all'interno della Stagione Concertistica 2014/2015 della Fondazione Teatri di Piacenza il concerto di giovedì prossimo, infatti, non solo riporterà sul podio del Municipale uno dei più grandi direttori d'orchestra del mondo, ma darà il via ad una nuova tourneé con Riccardo Muti che dopo Piacenza, Novara e Barcellona, porterà la Cherubini fino agli Emirati Arabi Uniti (Abu Dhabi Festival) e all'Oman (Royal Opera House di Muscat). E non è un caso se proprio nella nostra città avrà inizio questa nuova avventura, poiché è proprio al Teatro Municipale che dieci anni fa è iniziata la “storia” della "Cherubini".

Ad aprire il concerto, giovedì, sarà l'Ouverture dal Guglielmo Tell- l'opera con cui Gioachino Rossini nel 1829 abbandonò la scena teatrale - capace nel suo dipanarsi di riassumere il dramma che, inaugurando la stagione del grand-opéra, svelò nuovi orizzonti al teatro musicale romantico. Il programma si concentrerà poi su alcune delle pagine più amate del repertorio classico e romantico: da una parte il pathos ardente e le tinte drammatiche della Quinta Sinfonia in mi minore di Pëtr Il'ič Čajkovskij, che la compose quasi di getto tra il maggio e l'agosto del 1888 riversandovi la sua pessimistica visione dell'impari lotta dell'uomo contro il destino; dall'altra la lirica intensità della Quarta Sinfonia in do minore Tragica di Franz Schubert.

L'Ouverture di Guglielmo Tellè una delle pagine più celebri di tutto il repertorio ottocentesco, più celebre anche del capolavoro cui era stata destinata come introduzione sinfonica. La sua unicità risiede nel fatto che qui il tema patriottico è il rovescio della medaglia di un sentimento della natura di schietto sapore romantico: e tale duplicità di poli complementari è già racchiusa in sintesi nell'Ouverture che stiamo per ascoltare.

Le Sinfonie d'opera scritte fino a questo momento da Rossini erano brani che vivevano di vita autonoma, beatamente ignari del contenuto dell'opera che seguirà e pertanto fra loro interscambiabili. L'Ouverture del Tell, articolata in quattro episodi continui, è invece inseparabile dall'ambiente e dal significato dell'opera: incomincia con un Andante che è fra le creazioni più originali di Rossini per l'invenzione di una melodia del primo violoncello, ariosa eppure esitante, la cui voce è come echeggiata dall'accompagnamento di quattro violoncelli divisi e dai contrabbassi in pizzicato; non meno importante un mormorio di timpani che sembra suggerire i confini di un lontano paesaggio. Il secondo tempo, Allegro, è la descrizione di una tempesta, saggio supremo della strumentazione rossiniana, sempre di scintillante nitore anche negli agglomerati più densi; puro quadro paesaggistico è invece l'Andante che segue, omaggio al così detto ranz de vaches svizzero, melodie pastorali di quelle vallate alpine, intonato dal corno inglese con assonanze a quelle ampie curve melodiche che distinguono anche lo jodel austriaco. L'ultimo episodio (Allegro vivace, che Rossini trasse da un suo Passo doppio per banda) irrompe di colpo dagli squilli di trombe e corni e rappresenta con leggendaria icasticità una irresistibile galoppata finale.

La stella delle Sinfonie di Schubert durante la vita del compositore non è stata fortunata: nessuna arrivò a una pubblica esecuzione in qualche importante sede della città di Vienna, o almeno nessuna traccia ne è rimasta nelle colonne dei giornali o negli annuari delle società concertistiche.

Composta nell'aprile 1816, la Quarta Sinfonia di Schubert fu eseguita la prima volta nel novembre 1849 a Vienna, per il concerto inaugurale della Società Musicale Euterpe, quando il compositore era morto già da più di vent'anni. Il titolo di “Tragica”, aggiunto da Schubert sul frontespizio dell'autografo, non deve essere inteso in senso beethoveniano, cioè conflittuale, ma piuttosto con riferimento a un pathos di natura teatrale, a una maniera nobile e austera. E infatti, nelle sue proporzioni generali, l'opera corre su piedi leggeri, perché la base emotiva di questa tragicità è quella delineata in quello stile viennese che va dalle Sinfonie dello Sturm und Drang di Haydn alla Sinfonia in sol minoreK550 di Mozart, alle prime due Sinfonie, al Settimino op. 20, al Trio in do minore op. 1 di Beethoven. Dall'impegno costruttivo emerge sempre l'incanto della voce schubertiana, voce inconfondibile, specie quando il nitore dell'espressione melodica si appanna di una segreta e misteriosa nostalgia; in questi anni Beethoven aveva già scritto tutte le sue Sinfonie meno la Nona, e davanti a tale scenario Schubert si fa una bandiera della sua misura classica, così tenera e allo stesso tempo eloquente.

All'uso haydniano, la Sinfonia si apre con un Adagio molto introduttivo, in cui gli allacciamenti armonici stabiliscono un clima di mistero, di iniziazione assai caro al Settecento maturo; questo solenne prologo sfocia in un Allegro vivace, le cui proposte tematiche, slanciata e aggressiva la prima, cantabile la seconda, sono sempre intonate dagli archi, lasciando ai fiati e ai legni sopra tutto una funzione di rinforzo e di commento; l'attrazione verso la tonalità maggiore è soddisfatta dalla conclusione, con una freschezza ritmica che preannuncia il clima festoso dell'Ouverture composta per Rosamunde. L'Andante, in la bemolle maggiore, è una pagina chiaramente costruita secondo due episodi, il primo tutto pervaso di leggiadra soavità, il secondo animato da una concitata drammaticità; la netta scansione di frammenti di scala ascendente è tuttavia destinata ad attutirsi e a sfumare in un dialogo non meno che incantevole fra i legni e gli archi, che si rimandano una figura di tre note, qualcosa di meno di un tema, solo un gesto, un'inflessione parlante. Ancora Minuetto, e non Scherzo all'uso beethoveniano, è il terzo movimento, tutto contesto di contrasti ritmici e timbrici fra le famiglie di strumenti; il Trio intermedio, col passo invitante di oboi e clarinetti, consente l'affiorare di affettuose analogie con lo stile di Haydn. L'Allegro conclusivo si presenta col carattere di una corsa sbrigliata; anche qui il pathos iniziale si stempera verso la conclusione, lasciando il posto a un gioioso Do maggiore, con una animazione che ricorda l'ouverture Le Creature di Prometeo del giovane Beethoven.

Nella primavera del 1888, al ritorno da un viaggio di concerti in Germania, Čajkovskij fu preso dal desiderio di misurarsi di nuovo con il grande genere sinfonico. Nel mese di aprile, appena insediato nella nuova, amatissima dimora di campagna a Frolovskoe, si mette al lavoro dopo aver superato una breve, ma ricorrente, crisi di sfiducia; questo sentimento d'incertezza non può che stupire di fronte alla piena inventiva, all’abbondanza di idee testimoniata dalla Quinta Sinfonia completata già alla fine di agosto, in un anno che vede pure il compimento del balletto La bella addormentata e di lì a poco della Donna di picche; la nuova Sinfonia viene presentata la prima volta a Mosca, nel dicembre 1888, direttore l’autore, con accoglienze piuttosto tiepide; solo qualche anno dopo, e specialmente dopo una edizione diretta dal grande direttore wagneriano Arthur Nikisch nel 1895, la Quinta cominciò la sua circolazione internazionale accanto alla Quarta e alla Sesta “Patetica” nata nel frattempo, come uno dei vertici della rinascita sinfonica della seconda metà dell’Ottocento.

L’esordio dell’opera è fra i più intensi di tutto Čajkoskij: i clarinetti, in un colore livido che non si dimentica più, espongono un lento passo di marcia, idea che forse deriva da un terzetto dall’Atto primo di Una vita per lo zar di Glinka; il tema attraverserà tutta l’opera, quasi motto travestito in varie fogge, come un personaggio esterno che solo nel Finale s’insedierà al centro della composizione. Il suo lugubre passo, scandito piano dagli archi, accelera un poco per sostenere un nuovo tema di clarinetti e fagotti che incarna come un simbolo quella “orizzontalità”, quasi marcia sconfinata senza una meta; preparata da una transizione di rustica vivacità, si fa avanti la seconda idea, dove l'esuberanza melodica si alleggerisce e quasi si purifica nella leggerezza fatata del balletto: un amalgama di passione e lirica gratuità di cui solo Čajkoskij, in tutto il secondo Ottocento, conosceva il segreto. Al primo movimento, che quasi straripa per numero di temi, segue l’Andante cantabile con alcune licenze, audace trapianto del fiore più intimo della lirica da camera nel vasto terreno sinfonico: con somma delicatezza il tema cantabile, con i suoi accenti parlanti, gli intimi “rubati” e l’eleganza delle sue curve e insenature, passa dal corno ai violoncelli e al clarinetto; una nuova idea di stile più aulico s'interpone, ma il tema di romanza ritorna all'orizzonte, indistruttibile anche dopo le irruzioni eroiche del motto introduttivo: infatti, anche la sentimentalità più scoperta in Čajkovskij non indebolisce il rigore formale ma lo rinsalda. Questo svoltare improvviso di toni diversi, cameristico, popolare, sinfonico, queste ipersensibili variazioni di umore al primo sbocciare di un’idea nuova continua poi nelle ramificazioni dei due ultimi movimenti: il Valzer dall'incomparabile grazia, e il grandioso Finale: dove il carattere di volontaristico trionfo assunto dal tema dominante nasconde, sotto le bandiere al vento e le dorate fanfare, un fondo amaro di febbrile inquietudine.

Per info e biglietti è possibile rivolgersi alla biglietteria del Teatro Municipale di Piacenza, in via Verdi 41, al numero di telefono 0523.492251 o al fax 0523.320365 o all'indirizzo mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..


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