L’Ape musicale

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SI SCRIVE BALLO, SI LEGGE GUSTAVO

Conversazione con Roberto Abbado a cura di Angelo Foletto

Si scrive e si ascolta Un ballo in maschera («La scena a Boston e ne’ dintorni. L’azione nella fine del secolo XVII»). Si legge Gustavo III («L’azione è a Stockolm e nei dintorni il 15. e 16. marzo 1792»). «Ma gli appassionati verdiani e chi ha fiducia nei progetti scientifici del Festival Verdi possono stare tranquilli» assicura Roberto Abbado: «ciò che ascolteranno è frutto un’operazione filologicamente sorvegliata, di “inserimento” del testo integrale del primo libretto presentato dal compositore a Roma sulla partitura di Ballo in maschera, nell’edizione critica a cura di Ilaria Narici».
Altrettanto integrale e intatta?
Al 100% per la parte orchestrale. Al 99% a voler essere puntigliosi per quella vocale. In alcune situazioni testuali, ci sono minimi aggiustamenti alla linea del canto, semplici accomodature sillabico-accentuative. Nella parte del coro interno del finale, ad esempio, e in passaggi praticamente inavvertibili all’ascolto. Solo una frase, forse, verrà colta: al posto dell’usuale «S’appella Ulrica, dell’immondo sangue dei negri», in Gustavo III si canta «S’appella Ulrica, la sibilla».
Ma non è la prima volta che viene proposta l’ambientazione svedese…
Beh, certo: tra gli altri precedenti l’edizione diretta da Claudio Abbado. Ma erano parziali. Cominciando dai riferimenti geografici («Inghilterra» che diventava «patria»; il «patria» della prima grande perorazione di Renato era «Svezia» per Ankastron) riprendevano nomi e titoli onorifici dei personaggi, alcune parole, e poche altre locuzioni. Senza “inserire” tutto il testo così come era stato pensato.
L’opera così come l’avevano veramente concepita gli autori, insomma.
Si, semplificando, è così. Meglio: l’opera che Verdi avrebbero voluto che gli spettatori romani ascoltassero, apprezzandone l’originalità già alla lettura del testo elaborato col Somma.
Ma perché è così fruttuoso tornare al testo “svedese”?
La figura di Gustavo III ha caratteristiche uniche. È importante come personaggio storico: politicamente e culturalmente. Despota illuminato dell’Europa di fine diciottesimo, Gustavo fu un regnante di grandi visioni aperte e moderne ma anche un tiranno che non si fece scrupoli a usare la violenza. Eppure, aveva quasi abrogato la pena di morte e messo al bando la tortura.
Figura personale contradditoria e tormentata. Come Riccardo, del resto…
Sì, ma dobbiamo considerare l’altro elemento importante ‘svedese’: Gustavo fu un sovrano – non un governatore, benché Conte, cioè al servizio di altri – dai gusti estremamente raffinati. Che per gusto e piacere personale creò una corte in cui sono praticate e favorite le espressioni artistiche più eleganti. Un ambiente di grande levatura intellettuale, diremo oggi, in cui il re si dichiarava appassionato di musica e di letteratura.
Di qui un facile “suggerimento musicale”, poiché Verdi cura l’evocazione di quell’ambiente di corte in cui si svolge il dramma non come semplice colore.
La grandezza della tragedia si staglia sul fondale d’una corte in cui dominano «scherzo» e «follia» eleganti e aristocratici. Ma di Gustavo III, sono unici anche i tratti personali. Il matrimonio combinato, considerata l’omosessualità più o meno conclamata, quindi l’intelligenza nel difendere la sua autorità pubblica al di là di tormenti e ambiguità sessuali. E assume più forza, elemento dirompente e per certi versi inaspettato, la relazione adultera eterosessuale.
Proviamo a definire in poche parole il carattere speciale di Ballo in maschera.
L’opera è un miracolo di equilibrio tra commedia e tragedia – non solo nel quadro del ballo che la riassume. Sono d’accordo con chi rileva i riferimenti col teatro mozartiano in particolare con Don Giovanni , capolavoro in cui il confine tra i due generi è volutamente ambiguo. Ma ancor più evidente, come peraltro quasi sempre in Verdi, è il riferimento al modello drammatico di Shakespeare: brillantezza e cupezza sono sempre mescolate.
Situazioni episodicamente presenti in altri titoli d’autore …
Ma qui sono dominanti. La dinamica affettiva e caratteriale che procede per illuminazioni e contrasti continui e aspri ispira la musica quasi in ogni scena.
Anche in Rigoletto compaiono in parte situazioni simili, non trova?
La compresenza di tinte leggere, da intrattenimento cortigiano, e di tragedia nella prima grande scena può essere considerata una sorta di incunabolo del mondo di Ballo. Ma il modo di giocare ed esercitare il potere del duca di Mantova e di Gustavo III rispecchiano i secoli di distanza delle rispettive opere. Gustavo rappresenta l’evoluzione in chiave colta, elitaria e europea del Duca.

Studiando i due libretti quale ragionamento principale l’ha convinta a abbracciare la proposta Ballo/Gustavo III?
Il testo definitivo di Un ballo in maschera ammorbidisce i contrasti, tra cui le possibili implicazioni omosessuali e altre situazioni morbose. Ma poiché sono tra le motivazioni drammatiche più originali di questo bellissimo testo, la ripresa del primo libretto contribuirà a illuminarli.
Si immagina la reazione del pubblico che sentirà cantare da Gustano «La rivedrò ma splendida d’angelico pallore» invece di «La rivedrò nell’estasi raggiante di pallore» oppure alcune parole del finale diverse?
Mi auguro che le parole diverse inducano curiosità e interesse per la lettura del libretto di Gustavo III. Al di là dei singoli vocaboli, è un testo più crudo e duro, violento a tratti; perfino la componente brillante è meno spensierata, più acida. L’altro elemento che alla lettura deve essere colta dagli spettatori – ripeto non è facile coglierlo al primo ascolto – è la doppiezza di alcune frasi e il fatalismo che regge la vicenda: le ultime parole di Gustavo che ‘riprendono’ la profezia di Ulrica o il riferimento al «ciel che non volle» sono espressioni rivelatrici; perdute nella rifinitura successiva.
Ci sono state situazioni in cui la ripresa del testo originale ha trovato resistenza o creato sforzi tecnici ai cantanti?
No, il testo è proprio quello che Verdi e Somma volevano come definitivo. Non è un caso che Verdi tenesse così tanto alla sua nuova opera, e in vista della prima produzione prevista a Napoli, si prese il compito di presentare personalmente il testo alla Censura borbonica. Con tutta la deferenza per le successive scelte degli autori, il testo di Ballo rimane un aggiustamento, quasi una “normalizzazione”.
Se dovesse indicare una sola parola capace di definire l’opera…?
Sarebbe inevitabile ricorrere a immagini che appartengono al mondo visivo del chiaroscuro. Ma dal punto di vista di ciò che realizza la drammaturgia non c’è dubbio: Ballo in maschera/Gustavo III è un esempio di “teatro totale” d’autore.
E lei lo dirige per la prima volta.
Lo aspettavo e studiavo da anni. Sento la responsabilità nell’affrontare una partitura così raffinata nella scrittura, nella concezione dei singoli personaggi, nel virtuosismo teatrale e musicale che tratta situazioni drammatiche così diverse in perfetta armonia.


 

 

 
 
 

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