L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Senza preoccupazioni

 di Roberta Pedrotti

J.S. Bach e C.P.E. Bach

Musiche per la corte di Federico II di Prussia a Sanssouci

Massimo Mercelli, flauto

Ramin Bahrami, pianoforte

 CD Decca 481 7320, 2018

Registrato a Perugia il 25 e il 26 marzo 2017

Fa un certo effetto leggere nelle note di Piero Rattalino – connotate da quell'esuberanza stilistica che solo l'autorevolezza della sua competenza può sostenere – dell'insofferenza di Johann Sebastian Bach per il fortepiano, accolto invece di buon grado dal figlio Carl Philipp Emanuel. Fa un certo effetto perché poi nel CD non troviamo, sotto le dita di Ramin Bahrami, né clavicembali, né clavicordi, né fortepiani, ma addirittura un moderno grancoda Fazioli, consigliato dalla stessa casa produttrice “per uso solistico e con grandi orchestre”. Viceversa il flauto impugnato da Massimo Mercelli è un Alfred Verhoef in legno e benché non si tratti in senso stretto di uno strumento storico il suono rimanda più decisamente all'epoca dei Bach. Certo, il duo Bahrami-Mercelli è ben rodato e collaudato e la questione del tipo di tastiere più congeniali alla musica di Johann Sebastian e figli è già sul banco da parecchi anni, e non c'è molto da aggiungere: le scelte sono nette, prendere o lasciare, e le interpretazioni si possono valutare di volta in volta nella loro coerenza ed efficacia. Il pianista iraniano si è affermato dedicandosi anima e corpo a Bach su strumenti moderni, il suo stile è ben definito, un marchio inconfondibile e, in linea di principio, nulla si potrebbe obiettare: si tratta spesso di musica assoluta, il cui valore prescinde dall'idiomaticità dello strumento, che regge, nella sua costruzione, le trascrizioni per gli organici più disparati, né Bahrami sarà il primo o l'ultimo a non suonare Bach su un clavicembalo del XVIII secolo. Non è un problema, anzi, può essere l'occasione per guardare all'universalità bachiana da una diversa prospettiva, attraverso la personalità di un interprete che comunque non si può dire lasci indifferente.

La questione non è, insomma, essere favorevoli o meno agli strumenti moderni per questo repertorio, anzi: la faccenda rischierebbe di divenire oziosa, tuttavia si tratta di un momento storico in cui l'evoluzione delle tastiere (e non solo) è incalzante quanto significativa anche sul piano stilistico. Se, insomma, lo stile di Johan Sebastian si distingue rispetto a quello galante del figlio, se da questo incontro propiziato dal re musicofilo e flautista dilettante Federico II di Prussia sortisce un programma intrigante, lo è anche sul piano strettamente strumentale. E se Johann Sebastian sbuffa di fronte a uno strumento moderno per la sua generazione, può avere un senso aggiornare quel sentimento con uno strumento moderno per noi ascoltatori, perché no? Il risultato però lascia spazio a perplessità, perché proprio il confrotno generazionale non è reso con l'auspicabile nettezza. Mercelli suona molto bene, ma fra lui e Bahrami sembra non si colga il punto di una scelta interpretativa chiara; al contrario si avverte sempre uno iato, uno scarto sottilissimo e ugualmente percepibile nei timbri, nell'articolazione. Il flauto e il pianoforte sembrano non giocare esattamente sullo stesso piano, flautista e pianista sembrano non curarsene troppo e procedere senza preoccupazioni, sicché il contrasto risulta un po' confuso, insito nell'interpretazione né perfettamente risolto nonostante la buona coesione esecutiva. Così finisce per non salire alla ribalta il gioco di contrapposizioni, omaggi e influenze fra padre e figlio, pur così evidente nelle pagine in programma, tutte legate all'attività musicale propiziata da Federico II nel castello di Sanssouci.

Sanssouci, senza preoccupazioni: forse troppo.


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