L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Amore e morte

 di Stefano Ceccarelli

L’Opera di Roma riporta in scena, in forma completa, La bayadère. A dirigere l’orchestra è Kevin Rhodes, mentre la coreografia è affidata a Benjamin Pech, che rielabora quella classica di Marius Petipa, l’inventore di questo balletto. Étoiles ospiti sono Jacopo Tissi (Solor) e Olga Smirnova (Nikiya).

ROMA, 28 febbraio 2023 – Il ritorno sulle scene del Costanzi de La bayadère, balletto firmato, per la trama e la coreografia, dal celebre Marius Petipa e musicato da Ludwig Minkus, costituisce un evento di un certo interesse. È solo la seconda volta, infatti, che La bayadère è portata interamente in scena a Roma, dopo l’allestimento del 2011, quando il ruolo del titolo fu danzato da Svetlana Zakharova. La presente edizione, peraltro, si giova di un rinnovato allestimento scenico e di una nuova veste coreografica.

Iniziamo dalle scene, a firma di Ignasi Monreal. Artista eclettico e perfettamente inserito nel panorama contemporaneo, Monreal crea fondali scenici funzionali, alcuni particolarmente pregevoli. Il più bello – a mio gusto – è il I quadro, raffigurante il Tempio induista. Monreal immagina una scena essenziale, che catalizza l’attenzione dello spettatore al suo centro, dove la porta d’ingresso del tempio è raffigurata come un bronzeo scudo circolare. L’uso delle luci (Vinicio Cheli) e il sapiente contrasto cromatico giocato fra il bronzo ed il blu notte dello sfondo seducono la vista. Le altre scene (l’interno del palazzo del Rajah) sono variate con l’aggiunta di pannelli di drappi dipinti, che si aggiungono all’architettura templare indiana, costante scenica dell’intero balletto. Forse, il quadro meno d’effetto è proprio l’ultimo, il più celebre, il secondo del III atto, noto come “Regno delle Ombre”. Qui Monreal gioca con il sipario di velatino e la proiezione di giganteschi fiori di oppio, a sottolineare l’atmosfera onirica; ma, forse, si sarebbe potuto fare qualcosa di più originale, vista e considerata la bellezza essenziale del I quadro. Gli splendidi costumi sono a firma di Anna Biagiotti. Indimenticabili, in particolare, quello di Nikiya, che miscela la sensualità di un’odalisca a elementi precipuamente indiani, come pure quello del Bramino, rivestito di una morbida tunica dorata con il volto dipinto di un vivido blu, e dell’Idolo d’oro, impressionante nella cura dei dettagli.

Le coreografie ed il montaggio generale sono a firma di Benjamin Pech, un coreografo che sa innovare rimanendo nel solco del classico. Le sostanziali novità della versione di Pech sono alcune variazioni e la scelta del finale, da cui è bene prendere le mosse. Pech immagina un finale dove «il potere vince sull’amore» (come dichiara nella sua intervista a Lorenzo Tozzi) e dove Solor, risvegliatosi dalla dimensione onirica indotta dai fumi dell’oppio, se ne va con Gamzatti, mentre lo spettro di Nikiya svanisce. Tale scelta rende centrale proprio il personaggio di Solor, un eroe maschile, ruoli in genere meno valorizzati all’interno del balletto romantico, in questa produzione danzato da uno smagliante Iacopo Tissi. Sulla scia delle idee estetiche di Nureyev, Pech valorizza molto il ruolo maschile di Solor e Tissi appare perfettamente a suo agio in una parte dove più che la forza e l’agilità muscolare, a prevalere sono la grazia e la sensualità di un personaggio che si potrebbe a ragione definire indeciso, volubile, abulico. I due pas de deux di Solor con le due rivali sono danzati con precisione ed aerea eleganza da Tissi, che nella variazione dell’ultimo dei due, quello con Nikiya, dà vita al consueto repertorio di passi, con una certa attenzione, ancora, al dato interpretativo prima ancora che meramente ginnico. Il ruolo del titolo è danzato da Olga Smirnova, dotata di un’impressionante presenza scenica e di non comuni doti interpretative. La Smirnova, fin dalla sua apparizione nel I atto, quando viene ‘svelata’ dal Bramino, dà prova di innata sensualità ed esotismo raffinato, che le consentono di muoversi con incredibile fascino. Indimenticabile la sua variazione nell’atto II, durante la festa di fidanzamento del suo promesso con Gamzatti. La Smirnova esprime una tenera tragicità danzando per il piacere dei convitati, testimonianza della sua bravura come interprete, che raggiunge l’apoteosi nella scena della morte per morso dell’aspide. La bellezza di Bayadère, infatti, sta anche nel fatto che i suoi protagonisti devono recitare, oltre che danzare – il che non è sempre un elemento dirimente nella drammaturgia di ogni balletto. L’apoteosi della danza pura per Smirnova arriva con il pas de deux del III atto; si è già detto dell’ottima intesa con Tissi e si dovrà aggiungere la grazia della danzatrice nella sua variazione, come pure nelle diagonali e le arabesque di cui è fitta la parte. Susanna Salvi danza il ruolo di Gamzatti. Delle doti della Salvi il pubblico romano ha continue conferme, facendo stabilmente parte del corpo di ballo del Costanzi. La sensualità, la precisione, la pulizia dei passi, come pure l’agilità e l’eleganza sono le doti con cui la Salvi disegna il carattere di una donna innamorata e gelosa, abituata ad averla vinta in quanto figlia del Rajah. Il ruolo di Gamzatti, particolarmente valorizzato da Pech nella sua visione de La bayadère, si esprime appieno nel pas de deux con Tissi durante la festa di fidanzamento (II atto). La Salvi accentua la sensualità e l’agilità, rimarcando quasi il possesso del suo amato davanti alla folla degli astanti. Splendida la variazione dell’Idolo d’oro, un cammeo di Alessio Rezza, étoile dell’Opera di Roma: le doti di Rezza, agilità, pulizia dei movimenti, slancio e potenza dei salti, valorizzano appieno una parte insidiosa per la frenesia della musica. Magnifica la performance dell’intero corpo di ballo del Costanzi e dei suoi membri solisti, che ravvivano tutte le scene di un balletto irresistibile per la sua ambientazione indiana. Tanto le frenetiche danze dei fachiri quanto le esibizioni durante la festa del fidanzamento ne testimoniano lo stato di grazia. Indimenticabile, al solito, la discesa delle bajadere nel III atto, quando Solor inizia a sognare: muovendosi su aggraziate arabesque, le ballerine del Costanzi scendono con aerea leggerezza dal fondo del palco, per poi esibirsi in ogni sorta di evoluzione: del resto, la fortuna del “Regno delle ombre” come atto a sé stante è dovuta anche alla bellezza di queste coreografie.

L’orchestra del teatro dell’Opera di Roma regala una serata di musica particolarmente fortunata. A dirigerla è Kevin Rhodes, che esalta le screziature orientaleggianti della partitura, dirigendo con piglio una partitura di una certa ricchezza di invenzione; soprattutto, Rhodes è attento a dialogare costantemente con il palcoscenico, permettendo ai ballerini di armonizzarsi con l’orchestra. Il pubblico applaude calorosamente e lo spettacolo può certamente dichiararsi un successo.


 

 

 
 
 

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