L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Giovanna d'Arco di Giuseppe Verdi

La Pulzella inerme

 di Roberta Pedrotti

Giuseppe Verdi

Giovanna d'Arco

Pratt, Borras, Kim

Riccardo Frizza, direttore

Fabio Ceresa, regista

Orchestra Internazionale d'Italia

Coro del teatro Petruzzelli di Bari

Festival della Valle d'Itria di Martina Franca, 28-31 luglio 2013

2 DVD Dynamic 37676, 2016

L'omaggio del Festival di Martina Franca al bicentenario verdiano non poteva mancare, e non poteva mancare nel segno della tradizione itriana votata al belcanto e alla riscoperta di rarità, sicché la scelta sembrava destinata inesorabilmente a cadere su Giovanna d'Arco.

Opera ingiustamente sottostimata, oggetto di occasionali repêchage laddove una primadonna (da Tebaldi e Caballé a Devia e Netrebko, passando per Anderson e Ricciarelli) si interessi allo straordinario personaggio creato per Erminia Frezzolini, Giovanna d'Arco era già tornata a Parma nel 2008 in una felice produzione diretta da Bartoletti con la bella regia di Lavia [leggi la recensione], attendeva ancora la consacrazione delle straordinarie recite scaligere dello scorso dicembre [leggi la recensione]. Il glorioso Festival pugliese s'inserisce nel 2013 nella smilza ma prestigiosa storia esecutiva dell'opera da par suo, puntando decisamente sul côté belcantista con una protagonista come Jessica Pratt, che con la Frezzolini condivide il punto di forza di una scintillante facilità in acuto e promette un Verdi ricondotto recisamente al linguaggio del primo Ottocento.

Il contesto musicale è calibrato intorno alla primadonna e all'idea di un radicale alleggerimento belcantistico scevro da turgide tradizioni tardoromantiche. Così diventerebbe plausibile la voce chiara, quasi adolescenziale di Jean-François Borras, se non fosse che da uno strumento più delicato ci si aspetterebbe un meticoloso gioco di colori, un fraseggio analitico, una musicalità fuori del comune che imprimano nella memoria una lettura originale e raffinata del ruolo. Julian Kim per timbro e spessore si avvicina maggiormente alla tradizione del baritono romantico, e se la cava bene, con dizione chiara ed espressione appropriata, nei panni ostici di Giacomo d'Arco – forse il più odioso fra i padri verdiani ma figura non priva di fascino – anche se si potrebbe sempre auspicare, nella qualità più che nella quantità, una cavata dal legato più nobile.

Fra colleghi avvezzi al repertorio lirico più che drammatico, Jessica Pratt si trova così pienamente a suo agio per sperimentare la sua Giovanna, senza gonfiare le gote alla ricerca di un supposto suono verdiano, senza affannarsi per espandere la voce in tutta l'abnorme estensione di un ruolo tanto intenso. Non forza mai la sua natura e il suo strumento, gioca le sue carte e lo fa con piena consapevolezza stilistica, ricamando i cantabili con la consueta sofisticata eleganza, accentando con aristocratica fierezza i passi eroici, sfumando con sensibilità belle frasi soprattutto nel duetto del secondo atto (stando all'edizione critica; primo atto nella scansione tradizionale qui adottata). Si tratta, naturalmente, di un interessante esperimento da realizzarsi in sede di festival, di un'escursione ponderata fuori dal proprio repertorio abituale e ideale per esplorare diverse pieghe della partitura e della sua storia esecutiva. Più virginale che passionale, più neoclassica che sanguigna, purtroppo, e non per sua colpa, non trova la cifra per imporre fino in fondo la sua lettura: la definizione del personaggio nella personalità artistica della Pratt resta sospesa a metà a causa di un lavoro registico che non centra il bersaglio e non sviluppa un proficuo rapporto dialettico – sia esso per analogia o per contrasto – con il podio.

Il problema, insomma, è che un progetto del genere, tanto più nel XXI secolo, tanto più per un'opera che ha sofferto l'incomprensione di una drammaturgia musicale avanzatissima proprio nell'emancipazione del brutto e nell'acquisizione di focalizzazioni interne [leggu l'approfondimento], deve reggersi su una dimensione teatrale profondamente pensata e sviluppata in un attento lavoro sugli interpreti. Nulla di tutto ciò troviamo nell'allestimento di Fabio Ceresa, che priva Giovanna d'Arco della sua peculiarità guerriera: ma se la Pulzella indossa una veste femminile, se non mostra alcun comportamento irregolare, dov'è lo scandalo? Dov'è il dramma? Perché, se non per ripetere le illazioni paterne contro Linda di Chamounix ospitata nel lusso a Parigi, Giacomo dovrebbe perseguire con tanta ostinazione il presunto peccato della figlia? Non ci è dato saperlo, e così si anestetizza il nucleo fondamentale dell'opera, non sostenuto dalla blanda identificazione iconografica con Maria Vergine. È indubbio che l'insistito richiamo alla Madonna sia uno dei cardini della psicologia di Giovanna, ma assumerne i panni come “inviata di Maria” appare in questo spettacolo gesto talmente innocente e sereno, in nulla fanatico o blasfemo, da non supplire alla rinuncia al côté virile e bellicoso. Vediamo una compita damina in bianco e celeste, una trepida e melodrammatica fanciulla innamorata, non l'eroica, tragica ed enigmatica Pulzella, né l'affascinante ritratto musicale che Verdi tracciò della sua mente. Che la Pratt sappia essere donna e guerriera, invece, l'ha dimostrato come regale Zenobia rossiniana [leggi la recensione] e sicuramente un più attento lavoro registico avrebbe potuto sviluppare anche in questo caso un personaggio ben altrimenti compiuto e complesso.

Parimenti, re Carlo - da libretto lacerato, inquieto e insofferente al peso del suo ruolo - è semplicemente un ragazzotto che canta con voce di tenore e veste, pure lui, in bianco e celeste; Giacomo d'Arco uno svolazzante manto nero che si aggira su e giù per un palcoscenico animato genericamente solo dal garrire al vento di scampoli, cappe, vessilli, per lo più nelle tinte del tricolore post rivoluzionario. Alla fine l'idea scenica e drammaturgica sembra ricondursi unicamente a un moto tessile fiducioso nelle brezze estive.

Quale partito, viceversa, si possa trarre anche dallo spazio ostico del cortile di Palazzo Ducale lo hanno dimostrato altri registi, magari non sempre con esiti eccelsi, ma almeno con idee più articolate.

Per di più, la lettura diafana e antidrammatica di Ceresa mal si sposa con il carattere corrusco impresso da Riccardo Frizza all'Orchestra Internazionale d'Italia, ai tempi spediti – talora fin troppo – di strette e cabalette, né l'antitesi giova a esaltare gli opposti, che scorrono sostanzialmente su diversi binari. Il direttore si sforza, peraltro, di coniugare il Verdi battagliero con illanguidimenti del cantabile, ma il delicato equilibrio fra tradizione belcantista e irruente dramma verdiano, l'esplorazione di una poetica primottocentesca non sempre si realizza con ideale fluido equilibrio, probabilmente anche a causa del vento e dello spazio aperto – per quanto non troppo ampio - che rende anche più difficoltosa un'assoluta precisione. Un'occasione in più per ribadire come l'intelligenza della scrittura verdiana fin dai cosiddetti “anni di galera” sia tale, e tali le difficoltà da essa imposte, da realizzarsi con difficoltà anche quando non venga fraintesa. E poco basta per far apparire rozzo un pensiero di somma raffinatezza.

Da notare che, non essendo ancora in uso l'edizione critica di Alberto Rizzuti per Casa Ricordi e la Chicago University Press (quella eseguita alla Scala), il testo ripristina, come già a Parma, l'appello Maria nel recitativo di sortita di Giovanna e i riferimenti espliciti alla verginità nell'interrogatorio da parte di Giacomo, ma presenta ancora nei cori ultraterreni “O figliuola, | ti consola; | è una fola | Belzebù!” e “Sorgi! I Celesti accolsero | la generosa brama” invece di “ Non è brutto qual per tutto | è costrutto Belzebù!” e di “Sorgi! O diletta vergine! | Maria, Maria ti chiama”. Come già accennato, la divisione prevede non quattro atti, ma tre preceduti da un prologo. 

La ripresa audio e video cerca di rendere al meglio la registrazione di serate ventose anzichenò nella campagna itriana. I sottotitoli sono in italiano, inglese, francese, tedesco, giapponese e coreano; purtroppo alcune tracce sono indicate nel libretto in modo impreciso, citando solo il primo interlocutore anche in numeri d'assieme.


 

 

 
 
 

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