L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Arte e Psiche

di Roberta Pedrotti

W. Rihm

Jakob Lenz

Nigl, Waddington, Graham-Hall

direttore Franck Ollu

regista Andrea Breth

complessi della Monnaie di Bruxelles

Registrato nel marzo 2015 a Bruxelles

DVD Alpha classics, 2019

Wolfgang Rihm (1952) è uno dei più grandi compositori viventi e Jakob Lenz (1979) è forse la sua opera teatrale più rappresentata, non ignota nemmeno in Italia, dove solo otto anni fa aveva riscosso un notevole e meritato successo con la direzione di Marco Angius e la regia di Henning Brockhaus nella coproduzione fra il Comunale di Bologna e il Teatro Rossini di Lugo.

Jakob Lenz, a tutti gli effetti un capolavoro del Novecento, è un'ulteriore conferma del genio di Georg Büchner (1813-1837), l'autore della novella fonte del libretto come anche di quel Woyzeck che ispirò Gurlitt (1926) e Berg (1925). La vicenda è quella reale del poeta martirizzato dalla follia (nato nell'attuale Lettonia nel 1751, fu trovato morto a Mosca il 23 maggio 1792) e vanamento assistito dagli amici Johannes Friederich Oberlin (1740-1826), pastore protestante e pedagogo, e Christoph Kaufmann (1753-1795), l'intellettuale che coniò la formula Sturm und Drang. La prosa di Büchner appare già di per sé come un miracolo di profondità psicologica, insinuando e analizzando le forme dell'ossessione e del delirio con un acume che dovrà attendere circa un secolo per trovare forma e riconoscimento scientifico. Schumann finì per soccombere alla malattia mentale, Rossini si salvò dalla depressione feroce che l'aveva attanagliato grazie alla seconda moglie, Lenz terminò i suoi giorni in totale solitudine e abbandono. Quali e quanti altri casi di disagi e disturbi psichici non ancora riconosciuti e curati hanno percorso la storia delle arti e del pensiero?

Dai fatti storici, dalla prima elaborazione letteraria, Rihm e il suo librettista Michael Fröhling affondano un bisturi acuminato nella carne viva dell'alienazione mentale. L'opera si apre e si chiude con lo stesso accordo sospeso, irrisolto, una triade che rappresenta i tre elementi del dramma, il delirante, geniale, ossessivo, dilaniato Lenz e i suoi interlocutori. Il canto del protagonista è fatto di schegge impossibili da ricomporre, insegue i suoi pensieri schizzando da un registro baritonale – o semmai baritenorile, quello del recitar cantando monteverdiano – a falsetti allucinati, infantili, stridenti; da declamati feroci a cantilene giocose, da una calma apparente a grida e rarefazioni. Una prova estenuante per le esigenze vocali, musicali e fisiche che la parte impone: Georg Nigl è senza meno fenomenale nella sua totale adesione a ogni anfratto dei labirinti mentali di Lenz messi in musica da Rihm. Non si risparmia un secondo, canta con egual precisione saltando sulla squallida rete del lettuccio da manicomio stretto nella camicia di forza, steso come se nuotasse seminudo o rannicchiato in uno scaffale. E questa interpretazione trae forza ancor maggiore dall'interazione con l'Oberlin del basso baritono Henry Waddington - attonito, volenteroso, distinto e paterno, ma incapace di comprendere fino in fondo lo stato interiore del poeta – e il Kaufmann del tenore John Graham-Hall – intellettualmente più complesso, quasi provocatorio, intreccia con Lenz dibattiti estetici che sviluppano nuove dimensioni e ulteriori piani di lettura del dramma, osserva con doloroso disincanto il degrado dell'amico.

La regia di Andrea Breth va a fondo del dramma senza sconti. Con lo scenografo Martin Zehetgruber imposta una scena su due piani: un interno che da abitazione di Oberlin degraderà fino a squallida stanza di ospedale psichiatrico; un sotterraneo bluastro di specchi pietre, blocchi di ghiaccio, sul cui fondo l'acqua scorre senza posa, l'anfratto oscuro dell'anima profonda di Lenz, della sua ricerca di comunità con la natura che, viceversa, in superficie incontra solo modellini in bacheche. Con il dramaturg Sergio Morabito lavora sottilmente sugli stati allucinatori, sulla gestualità, sull'essenza di Kaufmann e Oberlin come personaggi reali, proiezioni del delirio di Lenz, medici del manicomio. Anche le situazioni estreme (Lenz che si imbratta con i propri escrementi, viene legato e imboccato a forza, sputa violentemente il cibo) sono gestite con un gusto e una cura che ne accresce la forza, in una parabola perfettamente dosata nel ciclo segnato dall'accordo di incipit ed explicit.

Nello spazio sonoro fra questi accordi, la concertazione di Franck Ollu, a capo dell'ensemble della Monnaie, esprime a dovere il senso ultimo della definizione di kammeroper, opera da camera. Appena dodici strumentisti – compreso un clavicembalo dal sapore antico e spettrale –, sei coristi adulti, sei voci bianche giocano di contrappunti, trasparenze, dissonanze e improvvisi, rari quanto stranianti, archi melodici. La prospettiva cameristica conferisce alla partitura un'intimità che focalizza ancor più i diversi piani di lettura, il percorso analitico negli abissi del disordine psichico.

Questa produzione registrata alla Monnaie di Bruxelles nel 2015 e corredata da un approfondito libretto è, senz'altro, un'ottima occasione per apprezzare il capolavoro del giovane Rihm, per godere di un grande esempio di teatro musicale dei giorni nostri, per riflettere sulla consapevolezza dei meandri della mente, sugli orizzonti della follia negli artisti e la loro rappresentazione nell'arte. Per comprendere la follia che è in noi e ci accompagna ogni giorno.


 

 

 
 
 

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