L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Un insolito trio per Conlon

 di Alberto Ponti

 

Il maestro americano dirige l'Orchestra Sinfonica Nazionale Rai in Varèse, Schreker e Beethoven

TORINO, 7 gennaio 2016 - Se l'attualità di un autore o di un'opera musicale consiste nel suscitare nel pubblico, ad ogni esecuzione, una forte impressione che si traduce in giudizi e opinioni contrastanti e oscillanti tra le accuse di sperimentalismo fine a se stesso e l'acclamazione di una visionaria genialità, Edgard Varèse (1883-1965) continua a rimanere, a oltre 50 anni dalla sua scomparsa, un compositore più attuale che mai. Bene ha dunque fatto James Conlon, che da ottobre 2016 sarà il direttore principale dell'Osn Rai, ad aprire il primo concerto torinese del 2016 giovedì 7 e venerdì 8 gennaio all'auditorium Toscanini con Intégrales (1924) per strumenti a fiato e percussioni. Varèse, francese di nascita ma di origine piemontese da parte di padre, trascorse tra l'altro a Torino gli anni decisivi dell'adolescenza, in cui coltivò, frequentando i corsi del Politecnico, quella mentalità scientifica e speculativa che costituirà la fonte di ispirazione di molte sue opere (oltre a Intégrales, basti pensare a titoli come Ionisation, Octandre e Hyperprism). Parallelamente il giovane Varèse prese lezioni di armonia e contrappunto dall'allora direttore del Conservatorio subalpino, Giovanni Bolzoni. (Ed è assai curioso pensare che uno dei musicisti più di rottura del Novecento sia stato avviato alla composizione da un onesto epigono verdiano, ricordato a tutt'oggi per un elegante Minuetto per archi).

Intégrales è secondo l'intenzione dell'autore una 'proiezione spaziale' del suono ottenuta con mezzi acustici tradizionali ma già presaghi dei futuri sviluppi della musica elettronica come assenza quasi totale di discorso melodico, ripetizione e sovrapposizione di stesse note in linee ritmicamente e timbricamente diffenti. Si tratta di un'opera dannatamente difficile e complessa da concertare ma che va nondimeno eseguita con precisione chirurgica per mettere in evidenza il rigore strutturale, matematico che la pervade da cima fondo. La lettura di Conlon, pur non mancando di chiarezza nella visione complessiva del pezzo, soffriva a tratti di quell'uniformità che in pagine caratterizzate da ininterrotti cambi dinamici e agogici è sempre in agguato. L'orecchio dell'ascoltatore non percepisce molte sfumature e sottigliezze della scrittura e finisce per adattarsi a un flusso sonoro che a tratti pare indistinto.

A questa coraggiosa apertura di serata, seguiva l'esecuzione della Kammersymphonie (1916) in un movimento di Franz Schreker (1878-1934). Appartenente a quella generazione austro-tedesca vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento che tanto ha dato allo sviluppo della moderna musica occidentale, Schreker, al pari del poco più anziano Richard Strauss, è un dominatore istintivo della tavolozza orchestrale e, nonostante l'organico ridotto (24 esecutori), la sinfonia da camera dimostra un'ampiezza di concezione tipica di pagine scritte per compagini più ampie. Senza rinnegare l'ambito tonale, il compositore austriaco, celebre all'epoca per le sue opere teatrali cariche di atmosfere esotiche e sensuali, costruisce in questo brano una solida arcata basata su un tema sottoposto a continue variazioni in cui il timbro degli strumenti (tra cui arpa, celesta, harmonium e pianoforte) assume una funzione caratterizzante dei vari episodi. Caduto rapidamente nel dimenticatoio dopo la morte, Schreker, al pari di altri compositori di origine ebraica banditi dal nazismo, è spesso eseguito da Conlon, che, tramite una lettura gioiosa e permeata da un sano edonismo, ha reso il pezzo, di rara esecuzione, un'autentica scoperta.

Chiudeva il concerto, nella seconda parte, la celeberrima quinta sinfonia in do minore op. 67 di Ludwig van Beethoven (1770-1827). L'interpretazione del maestro americano è una delle migliori che si siano ascoltate in Italia negli ultimi tempi. Grande compattezza, tempi staccati con vigore e autorità, interventi perfetti dei legni e degli ottoni (nonché dei contrabbassi nel temibile trio del terzo movimento), tutto si componeva in un crescendo di energia che raggiungeva l'apoteosi nel grandioso finale, salutato da un quarto d'ora di applausi trionfali e ininterrotti.


 

 

 
 
 

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