L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

jonathan stockhammer

Orgoglio inestinguibile

 di Roberta Pedrotti

Programma ricercato e intelligente, con Haydn visto attraverso gli occhi di Brahms prima di specchiare la sua Sinfonia Militare con la Quarta Inestinguibile di Carl Nielsen, al Comunale di Bologna. Sul podio Jonathan Stockhammer garantisce un'ottima qualità artistica e dichiara solidarietà ai lavoratori del teatro.

BOLOGNA, 7 ottobre 2016 - L’atmosfera non è delle più serene, tutt’altro, ma i complessi del Comunale di Bologna hanno intrapreso la strada giusta per rendere il pubblico partecipe e solidale rispetto alle loro legittime apprensioni: la protesta per i rischi ravvisati nella legge 160/2016 non si sta svolgendo provocando disagi in chi vorrebbe seguire e sostenere l’attività artistica, bensì con ulteriori esibizioni prima dei concerti (in questo caso siamo stati accolti nel foyer da una pregevolissima esecuzione dell’inno alla Luna dal primo atto di Turandot), da appelli e dimostrazioni integrate alla proposta culturale del teatro. Michele Mariotti, al termine del concerto del 2 ottobre [leggi la recensione], aveva, tra l’altro, giustamente affermato che il paragone fra teatro e museo non dovrebbe essere offensivo, perché entrambi non dovrebbero essere grigi sepolcri, bensì luoghi in cui l’arte e la cultura sono portate a vivere e a essere fruite dal maggior numero di persone. A sua volta, Jonathan Stockhammer interviene all’interno del concerto: fa attaccare il quarto e ultimo movimento della sinfonia n. 100, Militare, di Haydn con un organico men che ridotto all’osso; si ferma dopo qualche battuta e ammonisce “Io amo questo teatro, quest’orchestra e il loro suono. Quello che avete ascoltato ora è il suono che avrebbe se il Comunale venisse declassato”. E si riparte da capo, questa volta come si deve, e si chiude la sinfonia fra gli applausi. Perché nulla supporta meglio le istanze dei lavoratori dell’affermazione della qualità e del valore della loro attività e in questa ripresa autunnale abbiamo un’ulteriore conferma, dopo il cimento mahleriano, di un’orchestra davvero in splendida forma, ben salda e concentrata.

Il programma non è dei più consueti, ma il minuto Stockhammer sul podio dimostra tutta l’autorevolezza per spaziare dalle sonorità bellicose del XVIII secolo alla Quarta sinfonia di Carl Nielsen, L’Inestinguibile (Det Uudslukkelige), composta, per quanto nella neutrale Danimarca, nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale.

L’accostamento fra i due estremi stilistici e temporali viene introdotto dal mezzo, volgendoci al padre del classicismo viennese attraverso la prospettiva ottocentesca di Brahms, con le Variazioni su un tema di Haydn in Si bemolle maggiore Op. 56a. In questo caso la pastosità dell’acustica serve benissimo alla contestualizzazione del richiamo brahmsiano al passato (all'idea di Haydn, in realtà, più che ad Haydn stesso, essendo stata smentita l'attribuzione del tema originale), punto di riferimento formale e strutturale da rivivere, rileggere e interpretare senza adagiarsi in un immobilismo acritico. L’eredità di Haydn nella sensibilità e nel linguaggio del secondo Ottocento rimbalza verso un Haydn originale letto da Stockhammer con estrema chiarezza e fluidità di tempi, senza rinunciare a una morbidezza di suono e a un equilibrio timbrico ben calibrato nei chiaroscuri dell’organico così ricco in fiati e percussioni, nonché propenso allo humor lieve che, quasi per beffardo contrasto, così spesso si accompagna a ritmi e strumenti marziali.

Parimenti caratterizzata dal singolare rilievo conferito a timpani, trombe e altri timbri caratteristici delle bande militari è la Quarta sinfonia di Nielsen (partitura notevole, la cui rarissima proposta sarebbe già di per sé massimo motivo di esultanza), ben altrimenti drammatica, tuttavia, nell’irruenza dell’inestinguibile duello, emblema vitalistico che ne permea la struttura in un continuo rincorrersi di tensioni e distensioni liriche fino allo scontro di timpani nell’ultimo movimento. Stockhammer è abilissimo nel dosare tutti gli ingredienti, nell’evitare ridondanze acustiche coniugando ancora una volta pienezza e vigore con chiarezza e precisione; l’orchestra risponde assai bene e si ribadisce il miglioramento netto degli ottoni già riscontrato nel Titano mahleriano, oltre a una compattezza negli archi e a una nettezza delle percussioni che lasciano davvero presagire il meglio per la qualità strumentale della prossima stagione.

È questo un teatro che si possa “declassare”? Pare proprio di no, e l’orchestra in queste occasioni sembra esclamarlo con orgoglio, mentre il pubblico la premia con il calore che merita.


 

 

 
 
 

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