L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il naso di Shostakovich a Trento

Il coraggio del Naso

 di Francesco Bertini

 

Di grande interesse e di alto livello qualitativo la proposta del capolavoro di Šostakovič per la coraggiosa stagione lirica dell'Orchestra Haydn. Il pubblico, purtroppo, non risponde numeroso.

Trento, 22 aprile 2016 - La Fondazione Haydn di Bolzano e Trento e il suo direttore artistico Matthias Lošek operano una scelta in bilico tra il rischio e la frizzante avventura: il progetto OPER.A 20.21 segna una svolta nei cartelloni lirici del Trentino-Alto Adige che, da questa stagione in poi, ospiteranno una serie di titoli concepiti tra Novecento e primi anni duemila, con alcune nuove commissioni. L’ultima proposta operistica della prima annata è Nos di Dmitrij Šostakovič, autore anche del libretto assieme a Evgenij Zamjatin, Georgi Ionin e Alexandr Preis.

Il testo trae ispirazione dall’omonima novella di Nikolai Gogol’, con suggestioni attinte da altri suoi lavori. Questa operazione si fonda sulla pratica attuata dal regista Mejerchol’d che influenzò il compositore, già suo collaboratore, tanto per la concezione dell’elemento musicale all’interno dell’azione teatrale, quanto per il trattamento meccanico-automatico dei personaggi. La soverchiante critica della società in epoca zarista (Gogol’ ambienta il suo racconto durante il governo di Nicola I) trova in Šostakovič un apostolo capace di scontrarsi apertamente con la sovietizzazione imperante al termine degli anni venti del secolo scorso. La ricerca di soggetti caratterizzati da grottesca ironia si scontra con la pressante necessità del regime comunista di incanalare le arti nell’alveo di un bieco tradizionalismo conservatore. Il linguaggio šostakovičiano, capace di cogliere le pruriginose allusioni sessuali della tematica, imprime una scansione rapidissima alla narrazione che sperimenta innovative modalità compositive.

La coproduzione giunta a Trento, organizzata in collaborazione con Neue Oper Wien e CAFe Budapest Festival, Müpa Budapest, è congegnata in modo tale da non soccombere alle temibili difficoltà tecniche e al copioso numero di personaggi richiesti dal libretto. Il ritmo incandescente è preservato dall’intuizione registica di Matthias Oldag. L’intensità espressiva richiesta agli artisti coglie gli aspetti border line dello straniamento che, in una sorta di universo parallelo, condensa gli elementi grotteschi tanto rappresentativi della corruzione sociale. L’accentuazione della gestualità, con l’occhio vigile sulla violenza del mondo contemporaneo, rende palpabile l’abbrutimento umano celato dall’ipocrisia imperante. Parte pregnante di questa lettura sono le scene incombenti di Frank Fellmann il quale firma anche gli eloquenti costumi. L’azione è contenuta in una struttura che reitera l’idea registica attraverso un’ambientazione alienante e claustrofobica. Tornano immagini ricorrenti capaci di evocare il valore simbolico funzionale a qualsiasi epoca storica. Le luci di Norbert Chmel sferzano lo spazio con brutale efficacia.

La prestazione del Wiener Kammerchor, preparato da Michael Grohotolsky, è superlativa per precisione, coesione e rigore nell’affrontare gli insidiosissimi interventi.

L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento sembra trovare nella partitura di Šostakovič, fatta di molteplici stili, all’insegna dell’eclettico sperimentalismo, la cifra ideale per esibire una saldezza tecnica e uno spirito esecutivo effervescente, il tutto sotto la guida ricca di spunti di Walter Kobéra.

Sugli scudi Marco Di Sapia nei panni protagonistici di Kovalëv. Il baritono gestisce con arguzia la definizione dell’assessore in piena crisi identitaria per la perdita del naso. Un plauso per la sua analitica capacità d’approfondimento e per la maturazione della parte. Di pari bravura Igor Bakan, nelle doppie vesti del barbiere Jakovlevič e del viaggiatore Ivanovič. La bravura nel rendere lo smarrimento e il vuoto di un’esistenza trascorsa a tagliare barba e capelli altrui si estrinseca in un’esibizione piena di fervide intenzioni espressive. L’estensione importante e la tessitura scomoda non inficiano le prove dei tenori Lorin Wey, suggestivo Ivàn, e Pablo Cameselle, sarcastico Commissario di polizia.

Pur con qualche limite, Alexander Kaimbacher viene a capo positivamente del ruolo di Naso, specie dal punto di vista scenico, con il difficile compito di muoversi gestendo le giganti fattezze d’organo olfattivo.

Intensi e validi anche i restanti interpreti: Tamara Gallo nelle vesti di Pelagia Podtočina, Ethel Merhaut in quelle di sua figlia, Megan Kahts come isterica Praskov’ja Osipovna e commessa, Georg Klimbacher impegnato a rendere il funzionario della redazione e il dottore e Francis Tójar nei panni di mendicante e cocchiere.

La triste visione di una sala sguarnita non rende giustizia al meritorio lavoro della fondazione Haydn e alla rara e affascinante partitura di Šostakovič.

Francesco Bertini


 

 

 
 
 

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