L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Grigolo e Didonato in Werther a Londra

Giovanotti nevrotici a Londra

 di Gina Guandalini

La capitale del Regno Unito è ancora sotto shock per il risultato del referendum, inatteso e angoscioso per una metropoli sofisticata e proiettata nel futuro, immersa in una dimensione europea. I due giovani nevrotici che proprio in questi giorni trionfano in scena sembrano intonarsi all’atmosfera. [in appendice The Spoils, pièce di Jesse Eisenberg ai Trafalgar Studios]

LONDRA, 24 giugno 2016 - La Royal Opera House ha ripresentato l’edizione del Werther che il regista Benoit Jacquot ideò una decina di anni fa: stilizzata ma non troppo, tanto che quasi tutti gli elementi del panorama che il protagonista elenca ci sono veramente (e la rustica fontanella sgocciola e scroscia realmente, da disturbare quasi la musica). Sullo sfondo lontano una massa d’acqua – azzurrissima al primo atto, grigiastra in seguito – che fa pensare di essere a Francoforte-sul-mare o, per la precisione, a Wetzlar-am-See (? – è un fiume, ma la cosa non è del tutto chiara a chi non va a leggersi la synopsis). L’azione scenica è allungata e un po’ obliqua, come la psiche e la volontà di Werther. Come spesso accade, l’aver messo sopratitoli in inglese moderno toglie un po’ di credibilità alla lagrimosa vicenda. Pappano dirige con chiarezza e ottiene dall’orchestra un suono bello e vigoroso, ma il Werther, per non sembrare zuccheroso o datato, avrebbe bisogno di analisi strumentale, di distillazione, di estenuazione raffinatissima delle sonorità, alla Pélleas et Mélisande per intenderci, che qui arrivano solo nell’ultimo atto.

Questa edizione è anche trasmessa in diretta in vari cinema europei [leggi], in un tentativo di diffondere l’opera tra i più giovani che lascia chi scrive piuttosto scettica. È vero che l’impresa dispone di un protagonista molto intelligente e con il fisico adattissimo. Il veneto Vittorio Grigòlo è consapevole di non possedere l’impostazione tecnica di scuola tradizionale; esce dal cimento con tutti gli onori proprio per questo, per aver affrontato vocalmente questo francesissimo ruolo con astuzia, con infinito garbo. Se il timbro non è ridondante di armonici, se la tenuta degli acuti manca di perfetto sostegno, ormai solo delle conventicole di vecchi loggionisti del Nord Italia possono fargliene colpa. Quanto alla recitazione, il suo personaggio è molto più valido nella malinconia amorosa che nella disperazione suicida; e non, come scrivono due o tre recensori londinesi, per una precisa scelta di Grigòlo, ma perché la sua accattivante vocalità è assimilabile a quella del musical e del pop più classico. Non a caso un disco che deve ancora uscire, in cui esegue un duetto con la vocalmente fenomenale Silvia Nair, appartiene al genere che definiremmo “pop alto” ed è un eccellente documento della musicalità di questo tenore. Come incarnazione scenica questo Werther non si discute; e il pubblico londinese gli ha tributato un successo calorosissimo.

Joyce DiDonato ha timbro non gradevole perché poco sostenuto e non autenticamente mezzosopranile; inoltre, come nella maggior parte delle Charlottes, il fisico è matronale. Va segnalata, all’opposto, la graziosissima Sophie dell’americana Heather Engebretson, dalla voce di soubrette dolce e bene impostata, perfetta come quindicenne volta a volta svolazzante o piangente. Di efficace professionalità l’Albert di David Bizic e il Bailli del veterano Jonathan Summers. I piccoli interpreti che compongono il branco di fratellini e sorelline di Charlotte sono tutti molto bravi, e del resto la pratica della scena da parte dei bambini è una gloriosa tradizione anglosassone. Sotto le luci un po’ giallastre i costumi perdevano risalto, ma questa fa parte della lettura triste e nebbiosa di Jacquot, oggi ripresa da Andrew Sinclair.

Nel frenetico impazzare in strada della parata del London Pride – di proporzioni e di vitalità per noi inimmaginabili – è stato problematico raggiungere i Trafalgar Studios. Parliamo di un nuovo blocco teatrale, costituito da due sale di eccellente acustica e visibilità, sorto a Whitehall tra Trafalgar Square e la caserma dove si svolge il fotografatissimo cambio della guardia. Più centrale di così si muore. Jesse Eisenberg, giovane attore statunitense divenuto alter ego di Woody Allen nel suo ultimo film Café Society, è anche autore teatrale. Il suo terzo testo, The Spoils, che si rappresenta appunto ai Trafalgar Studios da maggio ad agosto, è di un umorismo tagliente, scatologico, crudele, che il pubblico sta apprezzando moltissimo. Circondato da un cast giovane e brillante, che attinge ai più celebri serials televisivi britannici, Eisenberg si scatena nel ritratto di un trentenne viziato e isterico, fermo a una sessualità infantile, in una Manhattan multietnica. Recitazione a mitragliatrice, vitalità frenetica, battute feroci: un talento da seguire.


 

 

 
 
 

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