L’Ape musicale

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L'obbligo del repertorio

 di Luis Gutierrez

Spicca la Liù di Maria Katzarava nella Turandot al Palacio de Bellas Artes. Alterno il resto del cast e deludente l'allestimento, che, concentrandosi sulla contrapposizione fra ricchi potenti e miseri oppressi, appare la parente povera del celeberrimo spettacolo zeffirelliano.

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CITTA' del MESSICO, 1 giugno 2017 - Sento l'obbligo di dire che oggi ho compreso perché la Compañía de Ópera de Bellas Artes programma opere del repertorio essenziale. Questa è la prima, e probabilmente ultima, volta che vedo quest'opera in Messico. Credo che diverse migliaia di appassionati, parimenti, non l'avessero ancora vista alle Bellas Artes, o da qualche altra parte. Presumo che lo stesso valga per altri cavalli di battaglia: a migliaia non li hanno visti, mentre poche decine vi hanno assistito parecchie volte, talora più di quanto fosse opportuno. Sarebbe anche bene che la Compagnia ampliasse il suo repertorio minimo, giacché il pubblico ha alzato le sue aspettative assistendo alle trasmissioni in diretta da altri teatri. Ed è indiscutibile che ci sarà chi avrà sempre desiderato di ascoltare “Nessun dorma” dal vivo, foss'anche una volta nella vita. Naturalmente, molti di quelli che l'avevano sperato oggi avrebbero preferito non averlo fatto per mantener intatto il mito. 

Il regista, Luis Miguel Lombana, scrive nel programma di sala un papiro in cui, a suo parere, l'opera rappresenterebbe una battaglia fra i ricchi e potenti, Turandot, e i poveri e oppressi, Liù. Ad ogni modo, presenta i più poveri e oppressi, il popolo di Pechino – Beijng per i millennials –, bramosi di esecuzioni dei principi per soddisfare così la loro sete di sangue. La scenografia e i costumi, disegnati da David Antón nel 2005 e utilizzati poi in diverse occasioni nei dodici anni seguenti, possono essere descritti come i parenti poveri, molto poveri in verità, della fastosa e parimenti vacua produzione di Franco Zeffirelli, eternata in vari video. Le luci curate da Laura Rode si sono distinte per la loro oscurità.

Il soprano messicano María Katzarava ha incarnato una Liù umile, più che povera e oppressa, alla quale ha offerto una magnifica interpretazione musicale. Il punto culminante della recita, senza dubbio, è stato la sua aria “Signore ascolta”, con la quale supplica Calaf di desistere dal suo desista dall'audace sfida agli enigmi della principessa di gelo. La Liù della Katzarava può brillare su qualunque scenario operistico.

Il ruolo di Turandot è sicuramente uno di quelli capaci di porre fine alle carriere dei soprani drammatici per le sue esigenze in termini d'estensione e dinamica, giacché la sua voce deve attraversare senza sforzo la densa orchestrazione che Puccini fa sorgere dalla buca. Il soprano bulgaro Gabriela Georgieva si è distinto nel secondo atto, in cui ha ottenuto un risultato esemplare cantando “In questa reggia”. La potenza impressa alla sua prova e lo sforzo che le ha richiesto questo atto sono stati scontati nell'ultimo, in cui è parsa stanca, anche se non ha mai perso l'intonazione. Non mancherà chi avrà rilevato un vibrato eccessivo, che a mio parere non ha, comunque, mai disturbato. 

Non dico nulla del Calaf di Carlos Galván, poiché è meglio non dir nulla quando non si ha nulla di buono da dire. Il basso veterano Rosendo Flores ha offerto una prova discreta nel personaggio discreto di Timur. 

I tre ministri –o maschere – sono personaggi che provengono direttamente dalla commedia dell’arte. Il baritono Enrique Ángeles e il tenore Víctor Hernández si sono fatti apprezzare rispettivamente come Ping e Pong. Andrés Carrillo si poneva un gradino al di sotto dei colelghi quale Pang.

Ricardo López nei panni del Mandarino e Óscar Santana in quelli dell'imperatore Altoum hanno offerto una buona prestazione.

Il Coro del Teatro de Bellas Artes, preparato in questa occasione da Alfredo Domínguez, si è fatto anch'esso apprezzare, anche se sarebbe stato meglio se non avessero scosso la scena con il fortissimo finale del primo atto. Le voci bianche del Grupo Coral Ágape, diretto da Carlos Alberto Vázquez, si è distinto con buona qualità e ha illuminato un palco altrimenti oscuro durante il primo atto. 

Il maestro Enrique Patrón de Rueda, una vera e propria istituzione operistica in México, è noto per essere amico dei cantanti, esperto nell'evitare che l'orchestra li copra. La sua lettura è parsa buona e non lo si può incolpare della mancanza costante di intonazione negli ottoni. Tra l'altro, queste recite di Turandot sono le ultime che dirigerà con la Compañía de Ópera de Bellas Artes, almeno in linea di principio.

 

 


¡Otra vez arroz!

 por Luis Gutierrez

Maria Katzarava, Liù, brilla en Turandot con la Compañía de Ópera de Bellas Artes. Resultados deversos por los otros; la producción puede describirse como el pariente pobre, muy pobre en verdad, de la fastuosa y también vacua producción de Franco Zeffirelli.

Siento la obligación de decir que hoy entendí por qué la Compañía de Ópera de Bellas Artes programa óperas del repertorio mínimo esencial. Esta es la primera vez, y probablemente la última, que veo esta ópera en México. Creo que varios miles de aficionados mexicanos a la ópera nunca la han visto en Bellas Artes, o en cualquier otro lado. Quiero suponer que lo mismo pasa con otros caballitos de batalla, miles no las han visto, en tanto que unas pocas decenas los han visto muchas veces, en algunos casos más de las prudentes. También sería bueno que la Compañía ampliara ese repertorio mínimo, pues el público espera más después de haber sido expuesto a las transmisiones en vivo de otros teatros. Lo que es indiscutible es que siempre habrá quien quiera oír “Nessun dorma” en vivo, aunque sea una vez en la vida. Por cierto, muchos los que la oyeron hoy desearían no haberlo hecho para mantener vivo el mito.

El productor, Luis Miguel Lombana escribe en el programa de mano un rollo en el que, en su opinión, la ópera representa una batalla entre los ricos y poderosos, Turandot, y los pobre y oprimidos, Liù. En todo caso, presenta a los más pobres y oprimidos, el pueblo de Pekín –Beijng para los milenials– hambrientos de ejecuciones de los poderosos príncipes para así satisfacer su sed de sangre. La escenografía y el vestuario diseñados por David Antón estrenados en 2005 y usados en varias ocasiones en los doce años siguientes, puede describirse como el pariente pobre, muy pobre en verdad, de la fastuosa y también vacua producción de Franco Zeffirelli inmortalizada en registros videográficos. La iluminación, diseñada por Laura Rode, destacó por su oscuridad.

La soprano mexicana María Katzarava encarnó una Liù humilde, más que pobre y oprimida, a la que dio una magnífica interpretación musical. El punto culminante de la función fue, sin duda, su aria “Signore ascolta” con la que ruega a Calaf desista de su osadía de retar a la princesa de hielo y sus enigmas. La Liù de Katzarava puede brillar en cualquier escenario operístico.

El papel de Turandot es sin duda uno de aquellos capaces de finalizar carreras de sopranos dramáticas por sus exigencias tonales y dinámicas, ya que su voz debe atravesar sin esfuerzo la densa orquestación que Puccini compuso para el foso. La soprano búlgara Gabriela Georgieva tuvo una destacada actuación durante el segundo acto, en el que logró un resultado ejemplar al cantar “In questa reggia”. El poder que imprimió a su desempeño y el esfuerzo que le exigió en este acto, le cobraron durante el último en el que se oyó cansada, aunque nunca perdió entonación. No faltará quien diga que se le oyó un vibrato excesivo, aunque en mi opinión nunca enturbió su demostración.

No digo nada del Calaf de Carlos Galván, pues es mejor no decir nada cuando no hay algo bueno que decir. El veterano bajo Rosendo Flores tuvo una discreta actuación al interpretar el discreto personaje de Timur.

Los tres ministros –o máscaras– son personajes que provienen directamente de la commedia dell’arte. El barítono Enrique Ángeles y el tenor Víctor Hernández tuvieron una muy buena interpretación como Ping y Pong respectivamente. Andrés Carrillo, estuvo un escalón debajo de sus colegas como Pang.

Ricardo López como el mandarín y Óscar Santana como el emperador Altoum tuvieron una buena noche.

El Coro del Teatro de Bellas Artes, preparado en esta ocasión por Alfredo Domínguez, tuvo otra buena función, aunque hubiera sido mejor si no hubiesen estremecido el escenario con su fortísimo al final del primer acto. El coro infantil Grupo Coral Ágape, dirigido por Carlos Alberto Vázquez, tuvo una muy destacada interpretación. Sus voces blancas iluminaron el escenario que había estado a oscuras durante el primer acto.

El maestro Enrique Patrón de Rueda, toda una institución de la ópera en México, es conocido por ser amigable con los cantantes, por lo que es experto en evitar que la orquesta los ahogue. Si interpretación fue muy buena; no se le puede culpar de la permanente desafinación de los metales. Por cierto, estas funciones de Turandot son las últimas que dirigirá con la Compañía de Ópera de Bellas Artes, en principio.

 


 

 

 
 
 

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