L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Barocco amburghese: i prestiti risarciti

 di Francesco Lora

L’Octavia di Keiser, miniera di materiale musicale per Händel, è tornata alle scene durante il Festival di Musica antica di Innsbruck: regìa, scene e costumi da dieci e lode firmati da François de Carpentries e Karine van Hercke, esatta e vivace concertazione di Jörg Hakubeck, giovane compagnia di canto nella quale spiccavano come primedonne paritetiche Suzanne Jerosme e Federica Di Trapani.

INNSBRUCK, 22 agosto 2017 – Händel imparò a fare teatro d’opera nel suo viaggio giovanile in Italia? Sì e no. A Venezia, Firenze, Roma e Napoli incrociò verosimilmente per la prima volta, tra le altre cose, un mercato canoro senza pari e la nuova librettistica di Apostolo Zeno e Antonio Salvi, dove alle deliranti peripezie che divertivano il pubblico si sostituiva una carica emozionale che commuoveva e nel contempo educava. Già da anni, però, il compositore conosceva i segreti del palcoscenico: veniva da Amburgo dove ogni anno si rappresentavano dozzine di titoli diversi, e l’euforizzante decina di titoli di un carnevale veneziano doveva sembrargli cosa sparuta; non solo nel numero ma anche nel linguaggio: la città anseatica era non meno internazionale della Serenissima e la superava quanto a eclettismo formale, con libretti che alternavano recitativi in tedesco e arie in italiano, e con musiche informate allo stile sia italo-tedesco sia francese.

Il principe degli operisti attivi ad Amburgo nel primo Settecento era Reinhard Keiser, di undici anni più anziano. Nel carnevale 1705 Händel gli fece concorrenza – in amicizia: facevano parte della medesima impresa – con le sue prime due opere: Almira e Nero. Nell’agosto successivo Keiser gli rispose a tono con un’altra opera di soggetto storico, romano e imperiale, con carattere di commedia pungente: Die römische Unruhe, oder Die edelmütige Octavia (L’inquietudine romana, ossia La nobile Ottavia). Bene. Una copia della partitura dell’Octavia di Keiser rimase nella biblioteca di Händel e divenne per lui una miniera di spunti metrici, melodie inconfondibili, porzioni bell’e fatte di arie intere. E tale fu la portata dei prestiti di materiale che nel 1902 la prima edizione degli opera omnia händeliani, curata da Friedrich Chrysander, non poté che accogliere un supplemento, ad uso degli studiosi, con l’edizione integrale dell’Octavia di Keiser.

Ma chi ha più potuto ascoltare, attraverso decenni e secoli, quel capolavoro degno di saccheggio? Se ne sono ricordati al Festival di Musica antica di Innsbruck, per tre recite il 22, 25 e 26 agosto nel cortile interno della Facoltà Teologica (a proposito: mattacchioni questi tirolesi che vogliono fare anch’essi spettacoli all’aperto come a Verona, Macerata, Martina Franca e Torre del Lago; al calare del sole, là tra le Alpi, si canta, si suona, si recita e si ascolta battendo melomaniacamente i denti per il tracollo termometrico). Allestimento da dieci e lode con regìa di François de Carpentries e scene e costumi di Karine van Hercke: sagome di legno compensato dipinto bastavano a illudere di un mondo che insegna il bello teatrale; e l’azione è stata guidata con tali divertimento e scorrevolezza – giocando col testo senza mai uscirne: accade quando il regista è anche letterato e musicista – che a volerne fare la cronaca parrebbe di conficcare lo spillo sul dorso della farfalla.

Ridotto all’osso l’organico strumentale dell’Ensemble Innsbruck Barock: quattro violini in tutto per una partitura che già prescrive coppie di oboi e corni. Non sono per questo mancate esattezza e vivacità alla concertazione di Jörg Hakubeck, meritevole anche di aver scongiurato i tagli drastici previsti in un primo momento. La compagnia di canto squadernava i giovani, consci dello stile e scenicamente spigliatissimi, distintisi nel concorso intitolato ad Antonio Cesti. Corrette nel metodo ma ancora lievi le voci dei baritoni Morgan Pearse (Nero), Camilo Delgado Diaz (Piso) e Paolo Marchini (Seneca), dei controtenori Eric Jurenas (Tiridates) e Jung Kwon Jang (Lepidus) e dei tenori Akinobu Ono (Fabius) e Roberto Jachini Virgili (Davus). Assai più vispa e personale la teoria dei soprani: Yuval Oren (Livia), Robyn Allegra Parton (Clelia) e soprattutto le mutevoli, sfumate, dolenti e maliziose Suzanne Jerosme (parte eponima) e Federica Di Trapani (Ormœna e Flora).

foto © Innsbrucker Festwochen / Rupert Larl


 

 

 
 
 

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