L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

daniel smith

Sintesi del Novecento

 di Roberta Pedrotti

Daniel Smith sul podio dell'orchestra del Comunale nell'ambito della stagione sinfonica del teatro e di Bologna Modern, s'impone come bacchetta emergente di primissimo livello con Messiaen, Lutosławski e Šostakovič.

BOLOGNA, 20 ottobre 2017 - Messiaen (1908-1992), Lutosławski (1913-1994), Šostakovič (1906-1975) attraversano il Novecento in parallelo, appartengono alla medesima generazione e ne vivono, da prospettive diverse, la tragicità. Il francese e il polacco conoscono la prigionia nei campi tedeschi durante la seconda guerra mondiale; il polacco e il russo si scontrano con il controllo sovietico sulle arti; il russo e il francese partecipano ai fatti bellici lateralmente, a causa di costituzioni fisiche non ideali per la vita militare in prima linea.

Dalle loro esperienze nasce un programma che ritrae uno spaccato particolarmente efficace del XX secolo, fra i poli interlocutori dell’ideale spirituale/religioso (Les offrandes oubliées del giovane Messiaen) e dell’ideale politico (la Sinfonia n. 12 in Re minore “L’anno 1917” di un cinquantacinquenne Šostakovič, dedicata a Lenin a otto anni dalla morte di Stalin), nel rapporto critico con forme del passato, dal gregoriano e dalla metrica greca vagheggiate da Messiaen alle scansioni barocche e classiche del Concerto per orchestra di Lutosławski, che contempla, tra l’altro, le indicazioni di Capriccio, Passacaglia, Toccata e Corale, fino alla continuità quasi da poema sinfonico della celebrazione rivoluzionaria, la cui architettura tematica torna anche alla forma-sonata.

Per dipanare un panorama come questo, la saggezza della bacchetta è fondamentale. Il giovane Daniel Smith, però, dimostra di non essere solo saggio, ma di essere artista. Le partiture sono dominate con una chiarezza già matura, emerge una visione d’insieme limpida e precisa da cui discende un pieno dominio dell’esecuzione. Ma in quest’esecuzione Smith instilla quella scintilla in più che fa la differenza fra il direttore bravo e preparato e il grande direttore: non ha bisogno di effetti, anzi, tutto è misurato con cura, dal pathos religioso di Messiaen all’impeto rivoluzionario di Šostakovič, ma proprio per questo più intellegibile e incisivo. Lo si osserva nella continuità narrativa della sinfonia rivoluzionaria che potrebbe facilmente cedere alla retorica o, quantomeno, a una drammatizzazione a tinte forti. Invece gustiamo già nel primo movimento una Pietroburgo rivoluzionaria in cui più della sommossa violenta – non negata – sentiamo montare un fermento intellettuale, un dibattito politico sempre più vivace e sofisticato. Il crescendo dell’episodio dell’Aurora si effonde con un’epicità autentica, non esteriore e sfocia naturalmente in un controllatissimo quadro utopistico finale. Controllatissimo, ma altrettanto ispirato, ancora innervato da quel carisma e quell’entusiasmo del far musica che Smith riesce a trasmettere all’orchestra (davvero in ottima forma, dà il meglio di sé) e al pubblico.

Si applaude felici felici questo biondo, saltellate australiano, tanto minuto nel fisico quanto autorevole e coinvolgente sul podio, e si desidera ritrovarlo presto sul podio: il suo calendario è già fitto e merita d’esser seguito.


 

 

 
 
 

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