L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Prospettiva a due fuochi

 di Alberto Ponti

L’insidioso percorso dalla levigatezza del giovane Beethoven al cubismo inquieto di Petruška trova interpreti d’eccezione e di profonda intelligenza esecutiva

TORINO; 17/11/2017 - Americano per nascita e formazione, europeo d’elezione, il cosmopolita Dennis Russell Davies rappresenta la fusione tra un certo spirito di frontiera e di apertura all’innovazione tipico del nuovo mondo e l’ampio solco della secolare tradizione nata sulle altre sponde dell’Atlantico.

Ospite per la prima volta all’auditorium Toscanini, nel programma scelto per il suo esordio alla testa dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, giovedì 16 e venerdì 17 novembre, si rispecchia al meglio questo superiore sguardo di sintesi attraverso la lettura di pezzi tanto distanti tra loro.

Passare dal classicismo viennese al pieno Novecento nella stessa serata non indica di per sé particolare abilità; farlo mantenendo un’impronta personale e traendo allo stesso tempo dagli esecutori un suono del tutto differente, ma convergente con precisione infallibile verso un unico punto di fuga, è una caratteristica che possiedono solo le somme bacchette, nella cui ristretta accolta Russell Davies va inserito senza timore.

Non tragga in inganno la data del 1798: nel concerto per pianoforte n. 1 in do maggiore op. 15 di Ludwig van Beethoven (1770-1827), metabolizzata la lezione mozartiana, si affaccia lo stile dei capolavori a venire. Fin dal primo movimento l’attacco perentorio, il motivo dei legni al termine dell’esposizione, gli arpeggi del solista all’inizio dello sviluppo, impensabili ancora pochi anni prima, sembrano richiamare passi delle sinfonie, del Kaiserkonzert, degli estremi quartetti.

Sarebbe tuttavia sbagliato vedere nell'opera solo un'anticipazione di stilemi futuri. Il concerto in do è una grande pagina compiuta, esaltata dal pianismo di un solista quale Andrea Lucchesini.

L'articolazione chiarissima, l'utilizzo del pedale a impreziosire cantabilità felpate, la padronanza suprema del fraseggio, unite a una cura del contrasto dinamico (esemplare nell'ampia cadenza), soffiano a tratti una lievissima brezza di malinconia dietro la salda facciata del discorso sinfonico. Anche nel conclusivo rondò, Allegro scherzando, un poco rallentato rispetto alla prassi di molti virtuosi, si fa strada un sottile fascino timbrico, che illumina di inediti chiaroscuri il gioco dei rimandi tematici, rendendo la visione beethoveniana del pianista toscano una delle più convincenti che ci sia stato dato recentemente di ascoltare. Un passo oltre, e lo Schubert del bis (l'Improvviso op. 142 n. 2 in la bemolle maggiore) ha già il sapore di un viaggio verso metafisici, ultraterreni approdi.

L'inestinguibile empito creativo del genio di Bonn, evidente fin dall'ouvertureKönig Stephan op. 117 (1812) eseguita come primo brano, è plasmato dal podio in una trama intensa e compatta di tutti i gruppi strumentali, che non disdegna una concitata brillantezza nei passaggi più veloci.

Dopo l'intervallo, come per incanto o sortilegio, ci troviamo di fronte, con la versione originale del 1911 del balletto Petruška di Igor Stravinskij (1882-1971), una partitura stridente e selvaggia negli impasti (il Sacre è dietro l'angolo) rispetto alla più levigata versione successiva del 1947.

Emergono allora in tutta la loro dissonante irriverenza, sotto la guida di Russell Davies, gli acuti contrasti tra le più disparate voci dell'orchestra, ora unita in esplosioni di tardoromantico turgore, ora raggrumata in scaglie di suono appena percepibili. Un incedere atomizzato, a cui la mano del direttore riesce a imprimere un senso di coerenza davvero ammirabile, in particolare nell'ultimo quadro della Fiera della settimana grassa dove Stravinskij, più che nell'Uccello di fuoco, riversa, con il tocco deformante di un dipinto cubista, tutte le risorse apprese alla scuola di Rimskij-Korsakov.

Musica che in poco più di mezz'ora esplora un intero universo, scorrendo via, nonostante l'implacabilità della tragedia, con spontaneità e freschezza senza eguali fino ad estinguersi in pianissimo; e la morte del burattino lascia ancora una volta tutti col fiato sospeso prima dell'applauso frenetico del pubblico numeroso ed entusiasta, con una larga componente di giovani.

foto Più Luce


 

 

 
 
 

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