L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Stravinskij, Mozart e la Mozart

di Francesco Lora

L’Orchestra Mozart entra nella direzione musicale di Daniele Gatti, con un programma concertistico che accosta il classicismo sinfonico di Mozart e il balletto neoclassico di Stravinskij.

BOLOGNA, 13 settembre 2021 – Per chi ne ha vissuta ogni fase, sarà difficile conciliare, sotto lo stesso nome, identità a tal punto contrastanti. L’Orchestra Mozart era nata ad personam per Claudio Abbado, collezionando insieme le prime parti di compagini massime, selezionando giovani evidentemente destinati a carriere illustri e professando il più moderno degli approcci al classicismo viennese. Poi è risorta sotto la direzione musicale di Bernard Haitink, utile a riposizionarla sul mercato internazionale ma nemmeno essa sufficiente a restituirla coesa, coerente e riconoscibile negli elementi, nell’avvenenza, nella crescita, nella recezione e nella missione originali: l’Orchestra Mozart del 2004-2013 e quella del 2017-2019 sono state esperienze tanto più differenti quanto più si è cercato di asserirne la continuità. Dal 2020 la direzione musicale è infine passata allo stoico Daniele Gatti, che ha accolto con soddisfatto pragmatismo l’invito a presiedere questo club di strumentisti fuoriserie, con implicito patto di giustapporre repertorio classico e contemporaneo. Se la pandemia ha bruciato il primo anno di programmazione, il 2021 ha rivelato gli esiti iniziali dell’esperimento, con tre concerti il 12, 13 e 14 settembre rispettivamente al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, nell’Auditorium Manzoni di Bologna – la casa storica della Mozart – e nella rassegna sinfonica al LAC di Lugano. Il punto d’ascolto, in queste righe, è quello bolognese. Da esso si riferisce che la Sinfonia concertante per violino, viola e orchestra KV 364, ossia la prima partitura di Mozart affrontata dall’orchestra il giorno del varo, suona oggi con gerarchie intenzionalmente ribaltate rispetto a quanto avvenne nel 2004: là v’era Abbado che luminosamente intimidiva il solismo di Giuliano Carmignola, violino pungente, e Danusha Waskiewicz, eburnea viola; qui v’è il violino di Raphael Christ che fa, strafà e tra una giravolta e l’altra pretenderebbe quasi di dirigere i professori, ma che fraseggia anche con precisione matematica e divina immediatezza, duettando con la forbita e sgargiante viola di Simone Briatore. Gatti lascia giocare con asciutta chiarezza, quasi a lui spetti la platea in luogo del podio. Ogni potestà torna nelle sue mani, del resto, con Apollon Musagète di Stravinskij, balletto neoclassico che molto confida nelle intuizioni dell’interprete e che da Gatti riceve appunto un rapinoso corredo timbrico e una mobilità agogica degni della più conscia via interpretativa. Tornitissima dal concertatore è anche la Sinfonia n. 41 KV 551 “Jupiter”: otto anni dopo l’ultimo concerto bolognese e mozartiano di Abbado, però, fa specie un’esecuzione allacciata a modelli vecchi di un quarantennio, col primo movimento compiaciutamente plumbeo, poderoso e percussivo anziché arioso, splendido e direzionato, e col movimento finale lanciato a così turbinoso passo da confondere poi l’auspicabile districabilità del contrappunto fitto. Eppure la levità, lo charme e l’ironia stanno pronti nel bis conclusivo, un altro finale di sinfonia mozartiana, la n. 34 KV 338: e nell’Orchestra Mozart, a dispetto dei suoi primi capelli bianchi, s’intravvede ancora l’eredità di Abbado.


 

 

 
 
 

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