L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’arte del suono

di Antonino Trotta

Arcadi Volodos manda in visibilio il pubblico dell’Unione Musicale con uno straordinario recital dedicato a Schubert e Schumann: gli applausi incessanti impongono cinque bis.

Torino, 20 ottobre 2021 – Arcadi Volodos appartiene a quell’empireo d’avorio abitato da pianisti a cui sul palcoscenico basterebbe appena scaldarsi le mani per indurre le folle adoranti a gridare al miracolo: ancor prima che la sua poetica interpretativa ardente di genialità diventi intellegibile, il solo tecnicismo estremo, tradotto in dominio prodigioso sul suono, è sufficiente a trasformare ogni esecuzione in un momento di estesi assoluta, sconvolgente nell’attimo in cui l’impossibile sembra realizzarsi davanti alle orecchie del pubblico udente. A Torino, ospite dell’Unione Musicale, Volodos si ascolta attoniti, in un perenne stato di stupore e incredulità, ipnotizzati e talvolta distratti da quel pianismo che a ogni passo si spinge oltre i limiti dell’umanamente concesso.

Disumano, non può definirsi altrimenti, è ad esempio il diminuendo conclusivo di Kind im Einschlummern dalle Scene infantili op. 15 di Schumann che lascia a bocca aperta per la calibrazione millimetrica nel peso delle singole note, specialmente quando dal piano al pianissimo si transita interpolando altre mille sfumature dinamiche: “la nota dopo non può essere più piano”, mormora tra sé e sé lo scrivente, sbagliando ogni volta. Ecco, l’arte di Volodos è innanzitutto pura arte del suono, un suono che nelle sue espressioni più delicate ha sempre una ricchezza e uno spessore di stampo orchestrale, un suono morbido, naturalissimo e non artefatto, capace di annullare completamente le tensioni della catena meccanica che dal polpastrello conduce alla corda. Nel Kinderszenen ogni nota è una perla adagiata sul velluto, una perla rotonda e smaltata che riflette sulla propria superfice i bagliori di un fraseggio magnifico per la qualità e la quantità delle idee racchiuse. Le Scene infantili risultano così lunari nella tavolozza di colori impiegata, tutta articolata in un ventaglio di dinamiche che raramente sfiora il forte, ma mai stralunate: il legato d’alta scuola, il rubato di gran classe, gli accenti imprevedibili e sempre pertinenti, il tessuto ritmico ricamato ad arte, tutto corrobora una lettura che nell’esaltare la purezza quasi belliniana, la leggerezza, la trasparenza della scrittura sa cogliere appieno e valorizzare al massimo la profondità emotiva dei tredici racconti.

Cambia il pezzo, cambia la prospettiva, non cambia il risultato. Le sonate di Schubert sono pericolosissime: lunghe sopra la media, impegnativa da seguire con quei movimenti che indugiano, digrediscono, divagano, quando affidate a musicisti normodotati rischiano di risultare entusiasmanti come una coda alle Poste. Tra le mani di Volodos la sonata in re maggiore D. 850 è balsamo per lo spirito. Forte di quel legato che ora acquista maggior peso nell’economia dell’interpretazione, Volodos ritaglia nei quattro movimenti frasi di grande ampiezza che favoriscono la comprensione e l’apprezzamento dell’opera. Se l’Allegro iniziale, dal portamento impetuoso ma ben lontano dall’eccesso fragoroso – in due ore di recital Volodos avrà suonato sì e no un paio di fortissimo, il che rende ancor più strabiliante la capacità dinamica di quest’uomo se si considera che essa si amplia laddove solitamente si restringe –, è pedana a un virtuosismo in punta di fioretto, guizzante e gentile sotto le dita di chi sa passeggiare con leggiadria anche lungo i sentieri scoscesi del dettato più tecnico, il Con moto in seconda posizione, brahmsiano nelle armonie e nelle atmosfere create, è ancora l’oasi in cui esibire quella somma arte del suono di cui egli è maestro, specie dove il movimento procede come una solenne corale. Dopo l’istrionico Scherzo, giocato sulla frizione tra il robusto gruppo ritmico iniziale, ben enfatizzato, e l’evanescenza dell’amabile valzer, il Rondò conclusivo suona con la grazia di un carillon: spensierato, gentile, in punta di dita, ribadisce a chiare lettere la statura dell’interprete che nelle infinite possibilità della sua tecnica non pone mai l’accento sul virtuoso ma valorizza sempre l’artista colto e intelligente.

Trionfo assoluto, applausi inarrestabili, cinque bis: Minuetto in do diesis minore D. 600 di Schubert, Intermezzo op. 117 n. 1 di Brahms, El Lago di Mompou, Siciliana dal Concerto in re minore BWV 596 di Bach-Vivaldi, Langsam getragen. Durchweg leise zu halten dalla Fantasia in do maggiore op. 17 di Schumann. Serata memorabile, di quelle che non accadevano da tempo.


 

 

 
 
 

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