L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Dolce stil novo

di Antonino Trotta

Con La vita nuova di Ermanno Wolf-Ferrari, cantata tu testi tratta dall’omonimo prosimetro, il Teatro Regio di Torino omaggia il Sommo Poeta nell’anno delle celebrazioni dantesche: in gran spolvero Coro e Orchestra diretti da Donato Renzetti, ottima la prova del baritono Vittorio Prato.

Torino, 29 ottobre 2021 – Ermanno Wolf-Ferrari appartiene a quella generazione di artisti – in compagnia di Lorenzo Perosi, suo grande amico e massimo esponente poi del movimento ceciliano – che verso la fine dell’Ottocento dimostrarono un acceso interesse per la musica e la letteratura antica e, nel tentativo di dare nuovo lustro alla tradizione, reinterpretarono elementi storici come il canto gregoriano con un linguaggio e uno stile più novo e moderno. La cantata per baritono, soprano, coro e orchestra La vita nuova, opera molto interessante e senza dubbio originale che in occasione dell’anno dantesco il Teatro Regio di Torino propone come terza tappa della rassegna itinerante Regio Metropolitano, ne è splendido esempio: articolata in due parti separate da un intermezzo, al primo ascolto appare come un lavoro ispiratissimo e suggestivo nelle pagine corali – che meglio recepiscono e valorizzano i canoni dell’antica scuola polifonica –, raffinata delle pieghe cameristiche che sovente la scrittura intraprende – nella seconda parte, ad esempio, il violino solo presta la voce a Beatrice nel dialogo con la morte –, eppur non priva degli involi melodici ruffiani e appassionanti propri del melodramma italiano di primo Novecento.

Alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino, in gran spolvero, Donato Renzetti offre una direzione estremamente evocativa, pregna di colori e sfumature, capace di creare sfondi e atmosfere che assecondano la drammaturgia della cantata: la prima parte, più luminosa e garbata, introduce ai temi dell’”amor cortese”; l’intermezzo, incentrato sul dolore di Beatrice per la perdita del padre, pur venata da tinte ferali sembra offrire del lutto una narrazione ancora distaccata, tant’è che la sezione si chiude con un inaspettato arpeggio in maggiore del pianoforte; la seconda parte, sostenuta da una più elettrica carica teatrale e ricca di colpi di scena, cavalca l’onda di un climax, musicale e drammatico, che dalla morte di Beatrice conduce alla sua celestiale apoteosi. Decisamente toccante, in particolare, quest’ultimo momento per la poesia che la bacchetta di Renzetti ha estrapolato dalla partitura, ritraendo una glorificazione mai pomposa o trionfale, né estetizzante o anestetizzante alla maniera wagneriana, ma animata da una nobiltà d’intenzione, una delicatezza di fraseggio, una morbidezza nel tessuto dinamico e agogico della concertazione che ben rende la purezza del pensiero religioso chiamato a dettare il testo.

Per restare in tema di purezza si parli dunque di Vittorio Prato, impegnato in una prova, a conti fatti ineccepibile, lunga e impegnativa. Se da un lato l’interprete, sempre elegante e misurato, non manca di dar nuova vita a un testo – Wolf-Ferrari estrapola in maniera molto libera alcuni componimenti da La vita nuova di Dante, più una ballata non compresa e un’altra di Guido Cavalcanti – non destinato alla musica e di scovare in esso scintille e accenti di magnetica teatralità – incisivo e drammatico nell’ultimo sonetto «Lasso! Per forza de’ molti sospiri», galante e amoroso con l’arioso «Donne che avete intelletto d’amore», per fare due esempi –, dall’altro il cantante viene a capo di una parte poco ortodossa, a cui capita di flirtare con il genere della romanza da camera, senza mai dimenticare le ragioni del belcanto: la voce di Prato ora si erge statuaria su un’orchestra in piena, ora trascolora e s’assottiglia per lasciarsi sostenere dal pianoforte solo, conservando ovunque la linea sorvegliata, rigogliosa, timbrata, impreziosita da sfumature e legati che poi nel susseguirsi dei numeri ribadiscono la cifra dell’artista.

Il prologo è sufficiente per apprezzare il timbro angelicato del Angela Nisi. È anche l’unica occasione perché, in poco meno di un’ora e mezza, il soprano canta pochissimo: dopo questo, un declamato e una frase alla fine. Dall’alto dei cieli – dalla galleria dell’Auditorium della Rai, per l’esattezza – il Coro del Teatro Regio e il Coro di Voci bianche – sul palcoscenico –, istruiti rispettivamente da Andrea Secchi e Claudio Fenoglio, cantano divinamente: omogenei, compatti, soavi, conferma costante delle preziose risorse a disposizione del teatro sabaudo. Sul palcoscenico, infine, c’è anche Alessandro Preziosi a occuparsi di interventi recitati, tratti sempre da La vita nuova, introdotti dal direttore artistico Sebastian Schwarz.

Serata magnifica, giustamente festeggiata da una calorosissima standing ovation. Proposto in data unica, lo spettacolo sarà reso disponibile sulla fallimentare piattaforma del ministero.


 

 

 
 
 

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