L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Paradisi gloria

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia propone un concerto apprezzato dal pubblico. Hartmut Haenchen dirige, nel primo tempo, il Concerto per pianoforte e orchestra n. 12 in la maggiore K 414, solista Filippo Gorini, e, nel secondo, la Sinfonia n. 9 in re minore di Anton Bruckner.

ROMA, 18 marzo 2022 – Fra i risvolti positivi della pandemia (se si può parlare in questi termini) c’è l’aver imparato a prepararsi sempre un piano di riserva. L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia lo mostra certamente bene, dato che riesce, nel lasso di un brevissimo tempo, a riorganizzare il previsto concerto del maestro Pappano in quello cui si è assistito la scorsa settimana. A dirigerlo, infatti, è Harmut Haenchen, raffinato interprete e studioso di Wagner e Mahler.

Nel primo tempo si esegue il Concerto per pianoforte n. 12 di Mozart. Nei cartelloni dell’Accademia, questo concerto – non certo fra i più famosi – è comparso per la prima volta solo nel 2018 (https://www.apemusicale.it/joomla/it/recensioni/44-concerti2018/6007-roma-concerto-piovano-jacoby-18-04-2018). Al piano siede Filippo Gorini, giovane ma solido interprete. L’intesa fra i due è ottima. Haenchen legge la partitura del concerto mozartiano disegnando un’agogica limpida, tersa, che consenta all’interprete di sfoggiare tutta la consueta brillantezza della musica mozartiana. Esempio mirabile ne è la direzione dell’apertura puramente orchestrale dell’Allegro (I), quintessenza dello stile galante, brillante per colori e grazia melodica. Gorini fa entrare il pianoforte con altrettanta grazia, dipingendo via via lo stesso disegno melodico, arricchito di volatine, trilli e dolcezze varie. Il tocco di Gorini è naturale, pulito, quasi essenziale. Il suo è un Mozart, in un certo senso, sobrio, che lascia cantare la bellezza melodica della parte, senza calcare su un campionario trito di espedienti per acuire la ricchezza del dettato mozartiano. Gorini e Haenchen, assieme all’eccellente orchestra dell’Accademia, eseguono in maniera eccellente il resto del movimento. Una pacata dolcezza vena l’intero Andante (II). Gorini si lascia andare, con controllo sicuro e pacato volume, alla limpida delicatezza della scrittura mozartiana, velata di una certa malinconia dall’ingresso del secondo tema; scrittura che Haenchen sorregge con grazia. Particolarmente apprezzati sono i trilli che Gorini inanella e i passaggi cadenzati della scrittura del pianoforte. Nel più squisito stile mozartiano, il III movimento (Allegretto) scintilla fra melodie e virtuosismi (l’autentica firma del pianismo di Mozart). Gli applausi del pubblico suggellano un radioso finale; Gorini regala, a mo’ di bis, un’appassionata lettura del Capriccio n. 3 in sol minore op. 116 di Johannes Brahms.

Nella seconda parte del concerto, Haencken esegue la Nona di Bruckner, la medesima sinfonia che aveva già diretto all’Accademia nel 1990. La Nona di Bruckner, l’ultima scritta dal compositore (che morì, anzi, mentre reggeva fra le mani la partitura del finale), ha un che di divino, di misterioso. Haencken la legge, complessivamente, con slancio, potenza, precisione, senza mai scadere nel puro rigore. Le geometrie di Bruckner, che sembrano così poderose, possenti, montagne impossibili da scalare, siedono in una semplicità essenziale, fatta sì di blocchi orchestrali che invadono la sala di un suono travolgente, ma che paradossalmente si lasciano scomporre in entità chiare nella loro essenza. Haencken conosce benissimo la scrittura di Bruckner, valorizzandone i volumi, i ritmi (sempre tesi, quasi a simulare una certa ineluttabile angoscia), ma anche i passaggi più indugiati, intimi, screziati di sonorità meno travolgenti. Ciò si traduce, come ho detto, in una resa coerente della partitura della Nona. Lo dimostra la gestione delle dinamiche del I movimento (Solenne. Misterioso), dove Haenchen espande e contiene la titanica massa orchestrale bruckneriana in una catena di crescite sonore e successive contrazioni; ma anche la vividezza con cui il direttore traduce le cozzanti dinamiche sonore e tonali dello Scherzo, una pagina ‘tradizionale’ che Bruckner dilata e di cui sfrutta soprattutto la sua natura intrisa di contrasti. Ma l’acme assoluta della Nona si realizza nel III movimento, l’Adagio, che Bruckner dilata fino ai suoi limiti possibili, sviluppando blocchi e tensioni ritmiche che Haenchen ha la capacità di scontornare con nettezza, ma senza pedanteria. Il momento più sublime, catartico, arriva nel finale III, un dichiarato omaggio di Bruckner a Dio; le tensioni dell’intera sinfonia, condotte con angosciante precisione fino a questo momento dal direttore, si stemperano in un’aura paradisiaca dopo l’impiego massiccio degli ottoni (una firma inimitabile di Bruckner). Gli applausi coronano gli sforzi titanici di direttore e orchestra.


 

 

 
 
 

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