L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Cara, vecchia nuova musica

di Alberto Ponti

Il successo indiscusso della serata inaugurale di Rai Nuova Musica conferma l’interesse e l’apprezzamento del grande pubblico nei confronti di una programmazione che fino a non molto tempo fa avrebbe suscitato minore entusiasmo

TORINO, 28 otttobre 2022 - A stretto giro di posta, a distanza di una settimana dalla trionfale inaugurazione con la Seconda di Mahler, prende avvio anche la più ristretta stagione di Rai Nuova Musica. Una manciata di concerti disseminati nel cartellone 2022/23 il cui impaginato, come di consueto, si caratterizza per un’intelligente e raffinata ricerca. Il primo appuntamento, venerdì 28 ottobre, era incentrato su tre serie di variazioni di tre differenti autori di generazioni e stili diversi, ma composte nell’arco di meno di trent’anni. La maturità di Elliot Carter (1908-2012) espressa nella sua opera del 1954-55 dialogava così con le Variazioni canoniche del giovane Luigi Nono (1924-1990) risalenti al 1950. A chiudere veniva l’archetipo rappresentato dall’op. 31 (1928) di Arnold Schönberg (1874-1951), tra i primi capolavori dodecafonici.

La platea piena conferma la bontà della proposta. Eccellente la prova dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, sotto l’attenta bacchetta di Gergely Madaras, in brani di notevole complessità sia architettonica quanto di scrittura. Le Variazioni per orchestra di Elliott Carter sono infatti pezzo di un impegnativo virtuosismo di tutti gli strumenti e ben rappresentano la poetica del primo periodo compositivo dell’autore statunitense, all’insegna del creare “solo quello che interessava a me, solo ciò che esprimeva le mie concezioni e i miei sentimenti, senza curarmi del pubblico che avevo di fronte”. Ne sortisce un mix di profondità e leggerezza, un discorso enunciato senza mai prendersi troppo sul serio. La lettura di Madaras è analitica e testimonia un approfondimento sul dettato musicale, evidente nella magistrale scansione dell’articolata poliritmia e nella capacità di isolare con chiarezza i gruppi timbrici di volta in volta chiamati in causa con funzione concertante, ma in essa si perde un po’ il lato scherzoso del linguaggio di Carter. Una musica di tale brillante disimpegno nell’Europa del secondo dopoguerra non si sarebbe potuta concepire nemmeno di lontano e forse ancora oggi, raggiunto lo status di classico, trova il proprio suono di elezione nelle compagini del nuovo mondo.

Di altra temperie culturale sono espressione le Variazioni canoniche sulla serie dell’op. 41 di Schönberg, nate a Darmstadt con la direzione di Hermann Scherchen, partitura delicatissima e poetica anche nei passi dove le indicazioni dell’autore parrebbero andare in altra direzione (Allegro violento), premiata da un’esecuzione di toccante intensità che prende l’avvio dalla serie sulla quale si basa la schönberghiana Ode to Napoleon. In un sottile gioco di rimandi, nel nome dello stesso Schönberg si raggiunge la quadratura del cerchio. Le Variazioni op. 31 sono un superbo pezzo sinfonico dove la tecnica dodecafonica, all’esordio nel grande organico dopo i cruciali lavori cameristici precedenti, non inficia la godibilità espressiva di una forma riconoscibile nel suo dipanarsi secondo il classico schema di introduzione, tema, variazioni e finale con un susseguirsi crescente di momenti emotivi fino al climax della coda. Madaras e l’OSN Rai colgono appieno il senso della sfida, infiammando con un’interpretazione pirotecnica il pubblico numeroso che al termine libera un entusiasmo inedito per una pagina molto distante dal repertorio più consueto e prevedibile.

La considerazione è doppia: in primo luogo pagine simili, venute alla luce quasi un secolo fa, lungi dal suscitare gli scandali che fecero all’apparire, sono ormai metabolizzate e apprezzate dal grande pubblico e considerate alla pari dei capisaldi dei secoli precedenti. Di conseguenza, in secondo luogo, la definizione di ‘nuova musica’, guardando al profilo temporale, sta loro abbastanza stretta. E’ certamente vero che molti compositori del nostro tempo conservano un legame diretto di linguaggio con maestri come Schönberg, Nono, Carter e molti altri più di quanto essi non facessero con la tradizione alle loro spalle. La questione è intrinseca alla musica d’oggi. ‘All art has been contemporary’ ma se i contemporanei suonano spesso come gli autori di mezzo secolo fa e oltre ciò non dipende dalla ‘nuova musica’ da cui prendono le mosse e che, vista da questo lato del prisma, giustifica anzi l’etichetta, nello stesso modo in cui la giustificherebbe Die Kunst der Fuge di Bach. La musica è sempre vissuta di rivoluzioni. Nonostante molteplici e apprezzabili esperimenti compiuti dalle generazioni nate a partire dal secondo dopoguerra, siamo ancora in attesa della prossima.


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