L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Vedere l'arcobaleno

di Roberta Pedrotti

L'atteso ritorno dell'ultimo capolavoro di  Čajkovskij a Bologna si ammanta di forti valori simbolici anche per l'accostamento allo Stabat Mater di Hanna Havrylets, scomparsa a Kiev il 27 febbraio. Sul podio Michael Güttler sostituisce con efficacia l'indisposta Oksana Lyniv.

BOLOGNA, 7 aprile 2022 - La camera acustica del Teatro Comunale ci accoglie illuminata con i colori dell'arcobaleno. La proiezione del blu e del giallo ucraini si intreccia nella gamma dell'iride, nei colori della pace, della ricchezza di un'infinita varietà nell'unità umana: Unitate melos, musica nella condivisione, è il motto dell'Accademia filarmonica bolognese, a cui si potrebbe appaiare il concetto di armonia fra opposti, concordia discors. Quantomai appropriato mentre si discute di arte e attualità, politica e arte fra le derive e forzature più estreme, là dove la questione dell'impegno e della presa di posizione dei presenti si arrocca su fronti opposti mentre a farne le spese sono incolpevoli autori lontani nel tempo, come se non si potesse distinguere l'oggi dal passato, la cultura che ci unisce dalle azioni degli uomini nostri contemporanei. Così, vediamo per esempio Čajkovskij vittima postuma dopo essere stato vittima in vita, quando invece proprio lui dovrebbe essere un simbolo di riflessione e di pace.

La sua ultima opera, Iolanta, è l'opera della cecità e della conquista della luce, della fanciulla ignara di sé, a cui è nascosta la propria condizione e che solo prendendone coscienza (e scoprendo l'amore) potrà realizzarsi; è una sorta di testamento, di estremo slancio ideale, quasi utopistico di fiducia. Nulla di più adatto, oggi, soprattutto a dispetto di chi non vuole vederne l'universalità. Giova, per di più, l'accostamento con lo Stabat Mater di Hanna Havrylets, morta a Kiev il 27 febbraio scorso all'età di 63 anni. Voci creatrici vittime, in modo diverso e pure contiguo, unite in un canto di dolore, compassione, umanità e speranza, con un cast cosmopolita e i colori dell'iride.

Purtroppo è assente la direttrice musicale Oksana Lyniv, che aveva fortemente voluto questo accostamento, ma è stata bloccata da una brutta lombagia – comprensibile che lo stress di queste settimane si sia fatto sentire anche sul piano fisico. Al suo posto, il tedesco Michael Güttler, musicista solido che con la musica russa (e dintorni) ha sempre avuto un'affinità particolare. Guida, subito, con sicurezza il coro e l'orchestra nel brano di Havrylets: suggestiva costruzione di un flusso continuo retto da una simbologia sacra e matematica che la accomuna per certi versi a Gubajdulina, sebbene l'autonomia del suo linguaggio sia evidente in questa  costruzione razionale che si sublima da radici folkloriche in un lirismo mistico.

In Iolanta, Güttler coglie subito alla perfezione l'atmosfera sospesa ma inquieta della cecità inconfessabile e ignota. Belli i soli dei fiati nell'introduzione, per una resa musicale che si confermerà d'ottimo livello fino all'apoteosi finale. Certo, la fenomenale edizione bolognese di un paio di decenni fa resta nel cuore dei fortunati presenti allora, ma sul podio c'era anche il fuoriclasse Vladimir Jurowski (e nel cast un giovanissimo e sconosciuto Piotr Beczala) e ogni confronto sarebbe ingeneroso: il ritorno di Iolanta nella stagione del Comunale, invece, è una gioia meritatamente coronata dal successo.

Il cast, d'altra parte, si destreggia assai bene e spiccano soprattutto le voci gravi, con l'ottimo Re René di Rafal Siwek, davvero notevole per nobiltà e partecipazione nel suo arioso, l'autorevole medico Ibn Hakia di Serban Vasile e il Robert debitamente cavalleresco di Andrei Bondarenko, senza dimenticare la Marta di Marina Ogii. La protagonista Yulia Tkachenko (che sostituisce la prevista Liudmyla Ostash e per gli applausi porta con sé la bandiera giallo azzurra e ci ricorda che mentre qui risuona la musica altrove rimbombano le armi) mostra la fragilità della principessa, ma sfoga anche buono smalto nell'innalzare il tema dell'amore e della conquista della luce. Come Vaudemont, Arnold Rutkowski si disimpegna nonostante qualche acuto un po' macchinoso e un passaggio non proprio impeccabile. Bene, nel complesso Mihail Mihaylov (Alméric), Petar Naydenov (Bertrand), Victoria Korkacheva (Laura) e Olga Dyadiv (Brigitta), così come il coro preparato da Gea Garatti Ansini.

Un successo calorosissimo premia una serata d'alto livello, all'altezza dei simboli che rappresenta, né dispiace, in questo caso, nemmeno la forma oratoriale: dopotutto è un'opera che parla di cecità e di negazione, in cui anche l'assenza di visibilità e teatro può diventare teatro e significato.


 

 

 
 
 

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