L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fiori senza veleno

di Luigi Raso

Adriana Lecouvreur torna con successo a Salerno con la direzione ispiratissima di Daniel Oren e una suggestiva Ermonela Jaho quale protagonista.

SALERNO, 7 ottobre 2022 - A centoventi anni dalla prima rappresentazione (Milano, Teatro Lirico, 6 novembre 1902) il Teatro Verdi di Salerno mette in scena Adriana Lecouvreur: il compleanno è celebrato con un nuovo e bell’allestimento, all’insegna della tradizione come è uso in quel di Salerno: le scenografie, disegnate, realizzate e assembrate con la consueta evidente cura artigianale da Alfredo Troisi, scenografo in residence del Teatro Verdi di Salerno, ben ricreano gli interni settecenteschi nei quali si svolgono intrighi e la vicenda di amore e gelosia; allo stesso modo, estremamente fedeli ai dettami della moda del XVIII secolo i costumi firmati da Renzo Giacchieri, che firma anche le luci e la regia dello spettacolo, funzionale, curata nella recitazione dei cantanti-attori e nel complesso teatralmente efficace. A Corna Paone, infine, si deve l’elegante coreografia del Giudizio di Paride dell’Atto III.

Uno spettacolo, questa nuova produzione del Teatro Verdi di Salerno, bello a vedersi, e dal quale traspaiono ancora una volta l’entusiasmo e la passione che le maestranze e i tecnici del Teatro Verdi profondono negli spettacoli Made in Salerno: anche stasera, dunque, sempre siano apprezzati e sostenuti gli sforzi produttivi che i teatri “di tradizione” compiono per la circolazione e diffusione dell’opera anche nei territori dell’operosa e culturalmente viva provincia italiana!

Ma le sorprese positive e i pregi di questa produzione non si limitano a un allestimento confezionato con arte: dal punto di vista musicale, a imporsi è la concertazione ispiratissima, raffinata e cesellata di Daniel Oren.

Adriana è tra le partiture più a lungo frequentate e approfonditamente analizzate dal direttore israeliano: a ogni ascolto (per chi vi scrive, il terzo, in un arco temporale ventennale) si resta affascinanti dalla capacità di Oren di far forma floreale musicale alla sinuosità e all’eleganza delle melodie di Cilea. Accanto all’attenzione all’esigenze del canto, al perfetto equilibrio tra buca orchestrale e palcoscenico, Daniel Oren e l’Orchestra Filarmonica Giuseppe Verdi di Salerno sono da lodare per le dinamiche sempre mobili, la cura del suono, a tratti evanescente, e, in particolare, per l’articolazione e l’ampiezza dei fraseggi. Le introduzioni e gli squarci orchestrali innestati nell’opera da Cilea, sotto la direzione di Oren, sembrano diventare le pennellate di rifinitura su un dipinto di William Hogarth: gli ultimi tocchi che rifiniscono un delizioso quadretto. L’Orchestra di Oren “canta” letteralmente con i protagonisti, respira con loro, li sostiene in ogni momento; il raffinato fraseggio, offuscato purtroppo dai frequenti sonori incitamenti di Oren, l’uso sapiente del rubato, i rallentando, esaltano quella eleganza innata, liberty, del melodizzare di Cilea.

Alla buona prova della compagine orchestrale è da aggiungere quella puntuale del Coro del Teatro dell’Opera di Salerno, guidato da Armando Tasso, nei suoi non vasti ma significativi interventi.

Eccellente il livello dei protagonisti, che vede nell’AdrianaLecouvreur di Ermonela Jaho, un protagonista tormentata, fragile, che dissemina di mezzevoci e pianissimi la parte della diva della Comédie-Française. Prestazione in crescendo, quella della Jaho: nel corso della serata dipinge un’Adriana tragica e dolente, così efficace e immedesimata nella parte da commuoversi in scena nella scena finale dell’ultimo atto. Se la voce denota talora qualche sfibratura timbrica, la tecnica e l’interpretazione del soprano albanese rendono quel limite un attributo della psicologia della tormentata protagonista. Il suo “Poveri fiori” è sussurrato, tutto tenuto sul fiato, cesellato in pianissimo, recitato con intensità drammatica estremamente coinvolgente.

Ha una vocalità generosa e nel complesso ben organizzata il Maurizio di Sassonia di Charles Castronovo: il tenore statunitense indugia talvolta in qualche forzatura di troppo dell’emissione, ma nel complesso risolve più che decorosamente gli insidiosi legati della“Dolcissima effigie” e “L’anima ho stanca”. Molto coinvolgente e amorevole si dimostra nel duetto finale con Adriana, “No, più nobile sei delle regine”. Nel complesso, però, è l’interpretazione, al netto degli accessi di passionalità, a risultare non adeguatamente articolata ed analitica nel corso dell’opera, optando su una visione alquanto monolitica ed eroica del personaggio di Maurizio.

Molto efficace e dotato di voce dal timbro suggestivo, nonché di buona organizzazione tecnica, è il sicuro ed empatico Michonnet del baritono georgiano Misha Kiria, bravo nel tracciare la parte dell’irresoluto amico-innamorato-rassegnato di Adriana con vocalità morbida, farcita di mezzevoci che ben rendono i tormenti amorosi e la nobiltà d’animo del direttore di scena alla Comédie Française.

Veemente e imperiosa è la principessa di Bouillon di Teresa Romano, oggi mezzosoprano dalla voce poderosa nel registro grave, brunita in quello centrale, coinvolgente nel delineare, grazie al supporto di un corredo vocale strutturato e di un notevole peso specifico vocale, un’amante gelosa voluttuosa e perfida. Di grande suggestione l’apertura dell’atto II “Acerba voluttà” e l’incontro-scontro con Adriana a chiusura del medesimo atto.

Alla buona riuscita di questa ripresa concorrono anche le parti secondarie, a cominciare dal principe di Bouillon di Carlo Striuli, dal timbro vocale cavernoso ma che ben si addice alla parte; insinuante e ben cantato è l’abate di Chazeuil di Francesco Pittari; mostrano affiatamento e precisione Quinault di Fabio Previati, Poisson di Enzo Peroni, e le Mesdemoiselles Jouvenot e Dangeville, rispettivamente, di Christin Arsenova e Lorrie Garcìa.

L’entusiasmo e la passione presente sulla scena contagiano il pubblico: al termine lunghi applausi per tutti, con punte di ovazione per Ermonela Jaho, Teresa Romano, Charles Castronuovo e per Daniel Oren, direttore artistico, ma soprattutto beniamino del Teatro Verdi di Salerno.


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