L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lusso e contestazione

di Irina Sorokina

Nonostante alcune incongruenze nella regia di Stefano Trespidi, La bohème al Teatro Filarmonico di Verona merita applausi per il buon cast e la concertazione di Alevtina Ioffe.

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Verona, 11 dicembre 2022 - La bohème! Une delle opere più belle, più amate dal pubblico e dai cantanti e, perché no, dai registi, che basandosi sulla drammaturgia perfetta del gran trio Puccini, Illica, Giacosa possono costruire versioni sceniche diverse, più o meno coinvolgenti, ambientate nell’epoca del libretto o trasferite nella modernità. È difficile immaginare un allestimento del capolavoro pucciniano fallito in scena, se ne può discutere, ma quasi mai condannare: La bohème è fatta troppo bene e l’impresa di danneggiarla o imbruttirla in teatro può rivelarsi ardua.

A Verona è stata scelta la strada che appare inevitabile ormai, la trasposizione temporale del capolavoro pucciniano: le faccende amorose di “quattro moschettieri”, nell’originale letterario di Henri Murger ambientate nell’epoca del re Luigi Filippo, per volontà del regista veronese Stefano Trespidi hanno compiuto un passo, o, meglio dire, un salto larghissimo, se non gigantesco: siamo stati catapultati nell’epoca delle contestazioni, nel 1968 parigino.

Una scelta discutibile, a nostro parere: l’ambientazione nei tempi delle proteste giovanili ha tolto inevitabilmente alla Bohème il suo aspetto intimistico, segnato dalle tinte grigie, malinconiche, invernali; nel primo quadro al posto della fredda mansarda abbiamo trovato la stamperia di “quattro moschettieri” – le loro vocazioni di poeta, pittore, musicista e filosofo sono state trascurate dalla regia che li ha preferiti uniti nella lotta politica – che si dedicavano alla produzione di volantini circondati da molti compagni d’avventura. Nel secondo è quasi scomparso il clima natalizio, dolce, pacifico e giocoso, visto che il tavolo dei protagonisti è stata messo decisamente in ombra dalla presenza massiccia dei giovani ribelli minacciati dai manganelli della polizia; nel terzo quadro la barriera d’enfer è stata trasformata all’università di Nanterre occupata, scelta registica che ha creato troppa differenza tra il testo del libretto e l’azione scenica; le incongruenze hanno trionfato nel quadro conclusivo ambientato in un’elegantissima casa borghese con le finestre che fornivano una vista fantastica di Parigi e con una vasca idromassaggio. Non si è evitata della volgarità, estranea alla natura stessa della Bohème; nel quadro conclusivo è apparso un nuovo personaggio, fanciulla libertina, forse una momentanea partner sessuale di Marcello, visto che faceva il bagno insieme a lui, ma desiderosa dare un bacio anche a Rodolfo. Si poteva benissimo evitare il mostrare corpi nudi sul palcoscenico, eppure la regia ha fatto questa scelta banale che inevitabilmente per alcuni attimi ha distratto il pubblico dall’ascolto musicale. Le scene di Juan Guillermo Neva sono state belle nel suo genere, tuttavia l’appartamento quasi di lusso dell’ultimo quadro ha creato una certa confusione nella mente degli spettatori. Sui costumi di Silvia Bonetti per i personaggi maschili non c'è nulla da ridire, ma hanno penalizzano le due protagoniste femminili; gli abiti di Mimì hanno peggiorano bruscamente la silhouette di Karen Gardeazabal, mentre hanno reso la figura di Giuliana Gianfaldoni decisamente troppo secca e impettita.

Sul palcoscenico del teatro veronese abbiamo visto e ascoltato con piacere un cast giovane, ben funzionante e vocalmente affascinante. La coppia composta del soprano e del tenore, Karen Gardeazabal e Galeano Salas, ha conquistato a pari merito i cuori dei numerosi presenti in sala. Il giovane soprano messicano che ricordiamo esattamente un anno fa per la sua partecipazione al concerto di Capodanno al Filarmonico e soprattutto per la focosa e sensuale interpretazione della celebre aria dalla Giuditta lehariana. Un anno dopo, è stata lei, insieme al tenore Galeano Salas, messicano anche lui, la vera protagonista della Bohéme di fine anno,

Ha una bella voce, la giovane messicana dal fisico tutt’altro che etereo, dagli occhi scuri e dai capelli corvini che rivelano le sue origini, ed è calata perfettamente nei panni di una fragile grisette parigina. Ha messo anima e corpo nel suo personaggio, disegnato Mimì umile e ingenua, ma piena di dignità. Dal punto di vista vocale ha rivelato uno studio profondo del ruolo, condotto con sapienza e padronanza di ogni cosa; la voce sempre morbida, il colore sempre bello, le sfumature sottilissime le sono valse il grande e pienamente meritato successo.

Galeano Salas ha formato una coppia perfetta con la sua conterranea, tra due giovani cantanti si è creato un feeling delicato e intenso, una comunicazione bella e sincera che ha scaldato molte anime del pubblico e ha contribuito al successo dello spettacolo. Anche Salas ha deliziato l’orecchio con il bel timbro piacevolmente giovanile, il buon legato e l’accento ben studiato, che spesso hanno rimandato alle grandi interpretazioni del ruolo di Rodolfo nei decenni scorsi. Un piccolo rimprovero gli si potrebbe fare per gli acuti un pochino affaticati, anche se ben proiettati.

Giuliana Gianfaldoni, nonostante l’indisposizione, ha portato alla fine la recita con onore e ha disegnato Musetta da ricordare, tanto elegante quanto ironica, giocando soprattutto col fraseggio raffinato.

Conoscendo la personalità artistica brillante di Alessandro Luongo non c’era alcun dubbio che il baritono toscano sarebbe stato un Marcello perfetto ed è andata esattamente così; il suo pittore non proprio fortunato e amante dell’infedele Musetta ha padroneggiato la scena, sfoggiando voce gradevole e dizione nitida, senza parlare della recitazione che da sempre è uno dei suoi punti più forti; anche essere un po’ gigione ha giocato a suo favore. Accanto a lui, un convincente Schaunard di Jan Antem e un nobile Colline di Francesco Leone, la cui “Vecchia zimarra” non ha certo lasciato indifferente il pubblico.

Hanno completato dignitosamente il cast Nicolò Ceriani – Benoit/Alcindoro, Antonio Garés – Parpignol, Jacopo Bianchini – sergente dei doganieri, Francesco Azzolini – doganiere.

Un bel ensemble dei giovani cantanti e l’orchestra della Fondazione Arena di Verona sono stati guidati dalla direttrice russa Alevtina Ioffe, che tra febbraio 2021 e il luglio 2022 è stata a capo dei complessi artistici del Teatro dell’Opera e del Balletto Mikhajlovskij di San Pietroburgo, la prima donna a coprire questa carica così importante. Se qualcuno avesse avuto dubbi delle sue capacità dovuti al retaggio culturale, sono scomparsi subito alla vista del gesto espressivo e ben preciso e all’ascolto delle arie e dei duetti celebri segnati dal lirismo profondo. Qualche problema tra il palcoscenico e la buca l’orchestra non ha danneggiato la resa positiva dell’orchestra.

Rischiamo di essere ripetitivi nei continui elogi al coro areniano diretto da Ulisse Trabacchin affiancato dal Coro di Voci bianche sotto la guida di Paolo Facincani, ma nel caso della Bohème hanno davvero dato il loro meglio.

È stato bello come non mai vedere la sala rosso dorata del Filarmonico piena di gente, sentire gli applausi numerosi e vedere sui volti degli spettatori i sorrisi di soddisfazione. La bohème è stata scelta per la serata di San Silvestro che vedrà protagonisti la coppia Roberto Alagna-Aleksandra Kurzak.


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