L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Un senso del sacro

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presenta un concerto in cui Philippe Jordan dirige l’Adagio della Sinfonia n. 10 in fa diesis maggiore di Gustav Mahler e Ein deutsches Requiem di Johannes Brahms.

ROMA, 7 dicembre 2023 – Il concerto che Philippe Jordan propone all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha come tema conduttore l’idea del sacro, non tanto di un sacro religiosamente inteso (benché il Requiem di Brahms appartenga indubbiamente alla tradizione cristiana), quanto di un senso profondo, trascendente di spiritualità. Ambedue le opere, soprattutto, hanno a che fare con una riflessione profonda sul senso della morte, come porta verso una dimensione altra, ignota.

Il primo tempo è dedicato al sublime Adagio della Sinfonia n. 10 di Gustav Mahler, la sua “Incompiuta”, la sua ultima opera. Brano di una profondità psicologica disarmante, l’Adagio è l’ultimo, esasperato esempio del ‘gigantismo’ mahleriano, che qui – ancor più che altrove – sembra germinare da sé, nel succedersi, solo apparentemente episodico, della trama delle frasi. In realtà, la struttura è pensata per tenere emotivamente sospeso l’ascoltatore fra una dimensione malinconica ed una misteriosa. Se il suono dell’orchestra è ottimo, pieno, come si coglie dall’indimenticabile melodia che torna come un mantra, altrettanto non si può dire della direzione, perlomeno della prima parte. Jordan, infatti, risulta alquanto legnoso, rigido, quasi disorientato dalla complessità mahleriana; fortunatamente, si riprende nel corso dello sviluppo, ‘accordandosi’ con in finale dell’Adagio.

Nel secondo tempo, Jordan dirige Ein deutsches Requiem di Johannes Brahms. Il direttore ha una visione architettonica ben definita, riuscendo a far vivere i diversi episodi, sorretti dall’onnipresente canto del coro, della loro precipua vita. Il colore delle singole sezioni, insomma, è ben porto. Esempio ne è il celebre «Denn alles Fleisch, es ist wie Gras», che risuona di accenti quasi apocalittici, ma di un’apocalisse, in certo senso, rassicurante. Il coro dona ogni sfumatura del canto brahmsiano, riuscendo a rendere ogni volume e timbro, dal canto spiegato, potente, a quello a fior di labbra – parlando del quale, è bene citare, pure, «Wie lieblich sind Dein Wohnungen», di celestiale dolcezza, come anche il finale, placidamente mistico, «Selig sind die Toten». Anche le voci soliste donano un’ottima performance, in particolare Gerald Finley, dal timbro caldo, intenso, che esegue un indimenticabile «Herr, lehre doch mich», nel quale si lascia apprezzare, in particolare, per il calore del fraseggio; la parte del soprano è eseguita da Louise Adler, che inizia «Ihr habt nun Traurigkeit» con una notevole messa di voce e porge con dolcezza la linea di canto brahmsiana, limpida sopra il coro. Il pubblico applaude, giustamente, un ottimo Requiem.


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