La stella di Juliette
di Luigi Raso
Domina incontrastata la stella di Nadine Sierra, Juliette nella prima esecuzione napoletana dell'opera di Gounod. Buona nel complesso la compagnia di canto, sebbene da concertazione (Sesto Quatrini) e regia (Giorgia Guerra) non emergano particolari motivi d'interesse.
NAPOLI, 18 febbraio 2025 - Nel 1867, in poco più che un mese, Parigi tenne a battesimo Don Carlos e Roméo et Juliette. L’opera di Verdi andò in scena l’11 marzo all’Opéra Le Peletier (sala che andò a fuoco nel 1873, poi sostituita dall’attuale Opéra Garnier); quella di Gounod il 27 aprile al Théâtre Lyrique (oggi, ricostruito nel 1874 dopo l’incendio del 1871, Théâtre de la Ville, proprio di fronte il Théâtre du Châtelet).
Per una singolare casualità in questo principio di anno il Teatro San Carlo ha proposto Don Carlo (la recensione: la recensione) e Roméo et Juliette con un intervallo temporale che quasi coincide con quello tra le due prime assolute parigine del 1867: le rappresentazioni del 2025, dunque, costituiscono occasione di raffronto e di analisi tra due opere figlie di culture e sensibilità musicali diversissime tra loro. Discutere sulle caratteristiche, sui pregi e difetti, sui nessi di Don Carlos e Roméo et Juliette sarebbe esercizio tanto complesso e defatigante quanto interessante, ma che esulerebbe dagli scopi della recensione. Ci limitiamo a dire che soltanto ora, a Napoli, è ipotizzabile il confronto diretto e sulle scene tra i due titoli: la prima esecuzione partenopea dell’opera di Gounod, infatti, avviene proprio con queste rappresentazioni (per inciso, dal 15 al 25 febbraio), a ben centocinquantotto anni dal debutto!
E questo esordio napoletano di Roméo et Juliette è una produzione nel complesso encomiabile, che ha nella presenza della star statunitense Nadine Sierra la mattatrice di una serata senza dubbio da ricordare.
Ma se la Sierra, beniamina del pubblico sancarliano dopo le apparizioni quale Gilda (la recensione) e Luisa Miller (la recensione), in questa produzione fa storia a sé; il resto del cast, pur distante dal livello elevatissimo della sua prestazione, non sfigura, o quantomeno non si fa oscurare del tutto.
La direzione di Sesto Quatrini ha l’indubbio merito di sapere gestire il volumi tra buca e palcoscenico, di imprimere all’opera - che al netto dei duetti d’amore si perde in tanti rivoli drammaturgici - una narrazione solida e teatrale per la scelta di tempi appropriati. Il concertatore tiene ben compatta l’orchestra, ma lo stile esecutivo nel suo complesso appare più italiano che francese: latitano quei colori, quei profumi e quell’eleganza nel ductus musicale che sono caratteristiche specifiche di questo repertorio. È uno spettacolo in definitiva solido, ma più Romeo e Giulietta che Roméo et Juliette: il titolo, specchio dell’interpretazione musicale, sarebbe da declamare in italiano piuttosto che in francese.
L’Orchestra del Teatro San Carlo, nel complesso compatta e disciplinata al netto di qualche imprecisione, sfoggia un bel suono, non ricco di nuances come ci si aspetterebbe in quest’opera, ma comunque curato.
Dopo l’incipit alquanto incerto per precisione dell’intonazione e compattezza di “Vérone vit jadis deux familles rivales”,il Coro del San Carlo, affidato alle cure di Fabrizio Cassi, ritrova lentamente maggior precisione, fino a non sfigurare nel poderoso finale dell’atto III. Ciò che però balza agli occhi, ancor prima che alle orecchie, è la esiguità del numero dei suoi membri sulla scena, cosa che ovviamente si riflette sulla consistenza e sulla qualità dell’amalgama sonoro. Così come per l’orchestra, però, si avvertono anche nella prova del coro la non completa padronanza dello stile francese dell’opera e lo sfoggio estremamente limitato di sfumature coloristiche che avrebbero impreziosito l’intera esecuzione.
Nel cast si riconoscono i punti di forza della produzione, a cominciare da Nadine Sierra, protagonista assoluta e totalizzante di questo Roméo et Juliette: per bellezza del colore, precisione negli acuti, compattezza dei registri, solidità della tecnica, aderenza psicologica al personaggio, arte scenica e avvenenza si colloca tra le migliori, se non la migliore, Juliette dei nostri giorni. La Sierra convince, e molto, sin dal valzer di “Je veux vivre dans le rêve” per il nitore delle colorature e per il piglio; è molto brava a rappresentare, anche per le sue doti di attrice, l’evoluzione psicologica del personaggio. La tecnica di emissione pressoché perfetta le consente di alleggerire, di fraseggiare con gusto, di irrobustire una linea di canto piegata alle esigenze espressive: è intensa nel duetto dell’atto IV“Va! Je t'ai pardonné”;da manuale, per corposità vocale e incisività teatrale, nella scena e aria “Amour, ranime mon courage”, eseguita con generosità, precisione negli acuti, intensità nel legato, impeto travolgente. L’Air du poison di Nadine Sierra è il suggello di un’interpretazione superlativa.
Javier Camarena purtroppo appare affrontare la parte, temibile, elegante e sfaccettata, di Roméo sulla difensiva: ad esclusione di un registro acuto preciso, poderoso e squillante, si registrano una diffusa uniformità nell’accento, eccessivamente trasognato e languido, spoggiature nell’impostazione che rendono poco corposo il registro centrale, e una vocalità che nel complesso appare oggi troppo leggera per Roméo. Non convince, purtroppo, la cavatina “Ah, lève-toi, soleil!”, privata del suo elegante legato e di sostegno nel registro medio.
Proseguendo secondo l’ordine della locandina, Gianluca Buratto è un Frère Laurent dal bellissimo e profondo timbro brunito, autorevole nei tratti vocali e scenici. Mercutio trova in Alessio Arduini accenti eleganti e una vocalità dal bel timbro, le cui doti risultano ben sintetizzate ed esaltate dalla ballata “Mab, la reine des mensonges”.
Caterina Piva, nelle vesti, en travesti, di Stéphano, è la piacevole sorpresa della serata: voce dal timbro di gran fascino, ben emessa, si fa notare e apprezzare per la freschezza della vocalità e la correttezza della linea di canto nella chanson “Depuis hier je cherche... Que fais-tu, blanche tourterelle?”
Estremamente problematica l’organizzazione vocale di Mark Kurmanbayev, Capulet dal colore alterato da emissione ingolata e dalla linea di canto imprecisa. Marco Ciaponi, invece, è un Tybalt eroico, dal timbro luminoso e dalla buona tecnica.
Denota qualche incertezza la vocalità di Annunziata Vestri quale Gertrude; da migliorare la tenuta tecnica di Yunho Kim, allievo dell’Accademia del Teatro di San Carlo, quale Duc de Vérone. Pur nella esiguità delle rispettivi parti, dignitosi Antimo Dell’Omo (Pâris), Sun Tianxuefei (Benvolio) e Maurizio Bove (Gregorio).
Lo spettacolo, firmato da Giorgia Guerra, è improntato a una dominante asciuttezza, nella realizzazione visiva - scene essenziali di Federica Parolini, sulle quali vengono proiettati i suggestivi video di Imaginarium Studio; costumi dai colori variegati e di accurata fattura di Lorena Marín; luci di Fiammetta Baldiserri – e nel disegno registico: appaiono troppo statica la gestione del CoroAggiornamento: nota sull'agitazione sindacale del coro, stereotipati i movimenti dei protagonisti, demandati in definitiva alle buone intenzioni dei singoli artisti.
È una spettacolo all’insegna della chiarezza didascalica, ammodernata dal tocco delle videoproiezioni sulla scabra scenografia, impreziosito dal disegno luci (suggestive quelle all’inizio dell’atto II che avvolgono la sala nel blu), ma troppo parco di originali trovate registiche utili a rivitalizzare una drammaturgia di per sé dal passo teatrale claudicante.
Alla fine, successo convinto e calorosissimo per tutti, con un’ovazione meritatissima per la memorabile Juliette di Nadine Sierra.
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Aggiornamento 21 febbraio 2025
Per amore di verità e per onestà intellettuale devo affermare di aver saputo soltanto pochi minuti fa che il Coro del San Carlo, per le rappresentazioni di "Roméo et Juliette", è in agitazione sindacale, ragion per la quale ha deciso di limitare all'essenziale i movimenti scenici. Quando ho scritto la recensione non ero a conoscenza di questo fatto, così come, in mancanza di annuncio al pubblico prima dell'inizio dello spettacolo, non lo erano gli spettatori. Pertanto, l'affermazione circa la staticità della gestione del coro da parte della regista Giorgia Guerra è viziata da una mancata informazione essenziale. E di ciò mi scuso personalmente con la sig.ra Guerra. Luigi Raso