Don Giovanni in Sicilia
Dopo Le nozze di Figaro nel 2023, il ritorno di Beatrice Venezi al Teatro Bellini di Catania è nel segno della trilogia dapontiana con l’esuberante Markus Werba nei panni di Don Giovanni di cui è degno servitore il Leoporello di Christian Senn. Dimenticabile la parte visiva dello spettacolo curata da Davide Garattini Raimondi.
Catania, 9 marzo 2025 - Se Vitaliano Brancati è riuscito a consegnare alla letteratura l’ennesima declinazione del mito di Don Giovanni in quel di Catania evitando del tutto il cliché malavitoso, non resiste alla tentazione Davide Garattini Raimondi che per il Massimo Bellini etneo cala il titolo mozartiano in un contesto vagamente anni venti, popolato da uomini d’onore in gessato in luogo dei contadini della cerchia di Masetto e trasporta la scena della tomba del Commendatore al momento del suo funerale con tanto di corone di fiori, forse a vantaggio delle unità aristoteliche. Fatta salva l’unità di tempo, però, è tutto il resto a perdere, giacché l’operazione di riciclare scene e costumi di una ventina d’anni fa del Teatro della Maestranza di Siviglia (allora per la regia di Mario Gas) sembra alquanto poco riuscita, costellata da forzature oltre che condotta con poco mestiere. Quest’ultimo non manca al duo responsabile di scene e costumi, il celebrato tandem del teatro italiano Frigerio-Squarciapino, colto qui in un momento di stanchezza, non ravvisandosi una cifra stilistica coerente fra pilastroni marmorei, vetrate, commistione fra smoking, abiti da charleston anni venti, costumi settecenteschi e il coro con modesto vestiario anni ’50. Più che in una Sicilia anni venti sembra però di stare negli States dei gangster, che fanno le cose in grande, non ultimo il tramutare la fine dell’impenitente in un’esecuzione a colpi di calibro ’45 da parte del nutrito clan. Si sorride sovente con bonomia di fronte alle ingenuità disseminate qua e là, ma il comico involontario di Don Giovanni colpito da un proiettile in bellavista sulle scale che si trascina fuori scena per far posto al sestetto finale è veramente troppo!
Meglio vanno le cose sul versante musicale che vede gli affidabili complessi stabili del Teatro Bellini di Catania sotto la guida di Beatrice Venezi. Rispetto all’esperienza delle Nozze di Figaro di un paio d’anni fa, la lettura – oltre che improntata ad una professionale correttezza di fondo, con qualche lieve menda nel coro dello sposalizio Zerlina-Masetto – si riesce ad appropriare di qualche apprezzabile spunto di fraseggio, rimanendo però nell’anonimato di un’impostazione generale discreta, anche accurata ed aggiornata (per esempio nell’impiegare con discrezione il cembalo anche nei numeri chiusi), eppure non avvincente.
A scacciare la noia provvede la debordante personalità scenica di Markus Werba che disegna un Don Giovanni sfrontato, anche vocalmente, dalla frase sempre seducente, ancorché dal volume non parimenti ragguardevole. Gli è degno contraltare il Leoporello accurato e mai sopra le righe di Christian Senn. A seguire si situa la Donna Anna di Desirée Rancatore, che rispolvera le virtù da mozartiana applicate ad una vocalità modificatasi negli anni verso un irrobustimento del grave, sempre un po’ troppo coperto e rifugiato nell’insistenza sulle vocali chiuse o semichiuse, a detrimento di una brillantezza del registro acuto, che rimane comunque plausibile, oltre che ben controllato. Scontano invece la lunghezza della parte sia Valerio Borgioni che Josè Maria Lo Monaco, giacché la commistione fra le versioni di Praga e di Vienna li onera entrambi di un numero aggiuntivo. Il primo si compiace del bel timbro – invero pregevole – e poco più, mentre la seconda – pur nominalmente mezzosoprano – soccombe nel registro grave dove risulta evanescente, esausta, guadagnando punti nel canto patetico legato, ma risultando complessivamente sottodimensionata per lo spessore tragico della parte, sospinta infatti a ruolo da prima buffa nell’ossessione persecutoria sulle tracce del burlatore di Siviglia.
Se dimenticabile è la Zerlina di Albane Carrere, lo è ancor di più il vociferante Masetto di Shi Zong, mentre Andrea Comelli è un Commendatore di buon volume.
La sala sold out a questa domenicale (come a tutte le altre recite) non va molto per il sottile e saluta indistintamente alla ribalta gli artefici dello spettacolo.
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