La Morte guida la danza
Nella ripresa bolognese, assume un carattere più cupo e statico lo spettacolo firmato da Daniele Menghini per il Festival Verdi; spiccano nel cast, con la direzione di Riccardo Frizza, voci rigogliose come quelle di Fabio Sartori e Amartuvshin Enkhbat.
BOLOGNA, 16 aprile 2025 - All'opera cambiare l'ordine degli addendi può modificare – e molto – il risultato. Prendiamo questo Ballo in maschera coprodotto dal Comunale di Bologna con il Festival Verdi e la Rete lirica delle Marche: uno stesso allestimento, che si adatta a diversi palcoscenici, dalla microscopica sala di Busseto a teatri all'italiana di varie proporzioni fino al parallelepipedo Nouveau; due cast giovani, magari con qualche acerbità ma tantissima energia e spirito di squadra, e uno mediamente di più lungo corso, con alcune vocalità rigogliose; tre direttori, con un esperto di barocco occasionalmente prestato a Verdi, un nome nuovo in piena gavetta, un assiduo frequentatore del melodramma ottocentesco. C'è stata, nel frattempo, anche una tragedia: l'attore Filippo Bonacchi, uno dei principali figuranti nelle recite a Busseto e nelle Marche, è morto improvvisamente il 2 aprile a soli ventisei anni, mentre teneva uno spettacolo per i degenti dell'ospedale Niguarda. A lui non può che andare un pensiero e una dedica. [Busseto, Un ballo in maschera, 27-28/09/2024; Fano, Un ballo in maschera, 28-30/11/2024]
Così cambia questo Ballo in maschera, che a Bologna mette in mostra grandi voci, sebbene il percorso di Amelia dagli annunci iniziali alle recite sia stato un pochino tortuoso. Sparita infatti abbastanza presto dalla seconda compagnia Marta Torbidoni, durante le prove scompare anche Anastasia Bartoli dalla prima. Qualche rimbalzo di aggiornamenti sul sito del teatro, ed ecco che Mariateresa Leva, inizialmente sostituta di Torbidoni, rileva le recite di Bartoli, alternandosi con l'ex allieva della Scuola dell'Opera Laura Stella. Nel mentre, le locandine distribuite al pubblico continuano a riportare Bartoli/Leva e si spera che tutti abbiano potuto intendere l'annuncio effettuato prima della recita. Stasera canta Leva, infine, con la consueta affidabilità, ampiezza, propensione ai filati e qualche emissione un po' tesa.
Dal suo primo apparire in scena, con una proiezione che non si è più abituati a sentire così piena e facile nel Comunale Nouveau, è Fabio Sartori a dominare la scena musicale, affrontando in serenità una delle parti più complesse e sfaccettate offerte da Verdi ai tenori. La voce è robusta ma non pesante, omogenea ma non uniforme, l'articolazione sempre chiara, l'intenzione ben dosata; una sostanza timbrica più scura di quanto non si sia oggi abituati ad ascoltare in Riccardo ben si sposa con quella del Renato di Amartuvshin Enkhbat, che pare una colata di miele di castagno dipanata con chiarissima dizione.
La predilezione per un canto rigoglioso è confermata da Silvia Beltrami, un'Ulrica particolarmente assertiva ed energica, efficace anche senza essere un contralto profondo. Anche la scelta per Oscar di un soprano che pare più lirico che di coloratura come Silvia Spessot sembra andare nella medesima direzione, benché in questo caso si avverta la mancanza di quella punta e di quella brillantezza che dovrebbero spiccare nei concertati.
Assolvono bene al loro compito anche Zhibing Zhang e Kwangsik Park (Samuel e Tom), Andrea Borghini (Silvano), Cristobal Campos Marin (primo giudice) e Sandro Pucci (un servo d'Amelia), così come il coro preparato da Gea Garatti. Sul podio di un'orchestra del Comunale in buona forma, li sostiene con cura Riccardo Frizza, dedito con consumata esperienza all'accompagnamento delle voci e propenso ad atmosfere plumbee in sintonia con il legno bruciato e i dettagli macabri delle scene di Davide Signorini, con il carnevale spettrale dei costumi di Nika Campisi. Così, anche la firma registica di Davide Menghini vira oggi verso il tetro rispetto allo scintillìo vitale che, nelle tappe precedenti della produzione, danzava con la morte. Più che gli spazi ampi – che certo non favoriscono l'intimità del pubblico con il dettaglio scenico che avevamo goduto altrove – è il nuovo cast a imprimere il cambio di direzione. Ci sono alcune contingenze oggettive, come diverse fisicità che impongono diversi costumi (è bene che sia così né avrebbe avuto senso vestire Sartori come Giovanni Sala e Davide Tuscano, tuttavia gli abiti avevano un significato che inevitabilmente muta); poi ci sono diverse attitudini attoriali, diverse abitudini consolidate o esperienze più acerbe, forse tempi di prove più stretti. Fatto sta che non si è realizzato quello stesso gioiello di complicità e caratterizzazione apprezzato in precedenza e che qualcosa si è perso (appena abbozzato, quasi impercettibile, il moto di sdegno di Riccardo, Renato e Oscar alla frase razzista del Giudice, per esempio) o è parso più statico (senz'altro Oscar, quasi timido, ma anche Samuel e Tom, rispetto alla scatenata contrapposizione di caratteri nata con gli interpreti originali). La solidità dell'insieme resta, anche se cambia un po' la prospettiva e la visione d'assieme del panorama prevale sui particolari.
Ecco allora che cambiano l'ordine degli addendi il risultato cambia, l'ombra prevale sulla luce, la tragedia sulla commedia, la morte guida una danza meno esuberante.
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