L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La catarsi di Katerina

 di Andrea R. G. Pedrotti

Memorabile produzione del capolavoro di Šostakovič diretto da un Mariss Jansons superiore a ogni elogio. All'indisposta Nina Stemme subentra Evgenia Muraveva e si impone con doti vocali e teatrali di prim'ordine, che non possono non preannunciare una luminosissima carriera.

SALISBURGO, 10 agosto 2017 - Nella piovosa serata del 10 agosto, presso il Großes Festspielhaus di Salisburgo è andata in scena, trionfale, Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk. L’opera di Dmitrij Šostakovič si è vista tributare un successo pieno da parte di un pubblico entusiasta per una rappresentazione memorabile. Sovente i Wiener Philharmoniker vengono citati come la miglior orchestra al mondo, grazie a una fama conquistata sul campo in ben centosettantacinque anni di attività; questa fama è stata cementificata giovedì sera, poiché ciò che si è sprigionato dal golfo mistico salisburghese sarà difficilmente eguagliabile, se non dalla stessa filarmonica di Vienna, perlomeno nella contemporaneità. La concertazione di Mariss Jansons non si può dire perfetta, poiché la perfezione è un concetto finito, circoscritto, noioso, che non consente emotività e ramificazioni interpretative. Mariss Jansons non è perfetto, è molto di più: egli sfrutta appieno la straordinaria gamma di soluzioni agogiche e dinamiche che i Wiener Philharmoniker mettono a sua disposizione, una quantità di livelli di piani, pianissimi, forti e fortissimi incredibile e che il concertatore di Riga sfrutta interamente, al servizio di una linea musicale, figlia di un’interpretazione del testo, capace di esaltare l’intensa drammaturgia dell’opera. Jansons concerta in piena simbiosi con la regia di Andreas Kriegenburg. Visivamente viene esaltata la matrice espressionista dell‘opera. La scena viene trasposta all‘epoca della prima rappresentazione (1934), nel cortile di una fabbrica abbandonata, ed è proprio dal ventre della fabbrica che appaiono gli ambienti dei primi tre atti: sulla sinistra la stanza nuziale di Katerina (che nel quarto atto diverrà la prigione), sulla destra lo studio del marito e l‘ufficio di polizia. L‘unico personaggio reale, l‘unico che non ha ancora abbandonato la propria umanità è Katerina: regia e concertazione sottolineano il suo disagio, il suo essere tormentata, disadattata, riducono tutti gli altri personaggi a macchine biologiche. Siamo al di sotto di una natura animale, poiché nessuno, tranne Katerina, cela le sue pulsioni. La civiltà dell‘uomo sta proprio nella capacità di contenere quegli istinti violenti e nevrotici che fanno parte dell‘inconscio di ognuno di noi, ma che devono esser contenuti da logica e ragione e incanalati sui giusti binari della passione e della voglia di vivere. Questo non accade nel distretto di Mcensk. Katerina si tormenta nell‘intimo nella sue stanze già prima che inizi la musica, vessata dal suocero Boris Izmailov che tenta di abusare di lei e la rimprovera continuamente della sua incapacità di dare un figlio al marito. Boris stringe perennemente fra le mani una piccola bomboletta spray con la quale continuano a spruzzarsi, d‘un aroma che perseguita Katerina. Gli abitanti del distretto paiono degli animali selvatici, sporchi e sessualmente irrequieti si accoppiano per strada. Capita di vedere fanciulle che si sfilano tranquillamente le mutande da sotto la gonna e si appoggiano al muro con ragazzi di passaggio, che portano a compimento un veloce scambio di fluidi corporei, dopodiché i due si allontanano quasi ignorandosi.

Katerina vede questo e il suo disadattamento di donna repressa, vittima di continue violenze psicologiche si manifesta dall‘incontro con Sergej. Lui non è affettuoso, entra nella stanza e possiede la donna (consenziente) in un furioso consesso carnale, sottolineato con indimenticabile intensità dalla direzione di Jansons. Durante l‘amplesso lei si premura, tuttavia, di nascondere una piccola icona religiosa e torna donna repressa dopo l‘accoppiamento, quando chiede a Sergej quasi dimessa: "perché mi hai fatto questo? Sono una donna sposata“. Il desiderio di sfogare il furore erotico è l‘unica pulsione manifestata da Katerina, attratta da Sergej, che incitava i suoi compagni a violentare la cuoca Aks'nia, e ne diviene dipendente.

L‘omicidio del suocero è prossimo, raffinato con il piatto di funghi avvelenati, dopo che Boris aveva deciso di sfinire di frustate Sergej; un uso che egli manifesta spesso durante l‘opera, tenendo spesso a bada gli abitanti con una frusta da domatore.

La scena diventa l'incubo della protagoista incubo nei momenti orchestrali; con un effetto ottico dato dalle luci le pareti risultano per lo spettatore irregolari, sfocate e ondeggianti. Katerina incontra un bambino e tenta di abbracciarlo, ma questo la sfugge freddamente e la ignora (il tormento della mancata maternità), dopodiché un gruppo di passanti la circonda e ognuno estrae uno spray identico a quello del suocero e comincia a spruzzare su di essa il contenuto, ella scappa a gattoni, terrorizzata dall‘apparizione del fantasma del suocero defunto.

L‘omicidio del marito è più impetuoso: egli esce dal suo ufficio (che viene collegato alla stanza sua e di Katerina con un piccolo ponte). Zinovij Izmailov giocherella con una pistola e appare malsano (che la mancanza di prole sia colpa sua?) e, dopo una discussione viene afferrato alle spalle dalla moglie che lo strangola con una corda, mentre Sergej gli impedisce di liberarsi. Katerina commenta solo all‘amante: "ora sei tu il mio uomo“.

Il seguito è una caduta continua per la donna: il matrimonio fra Katerina e Sergej avviene nel cortile della fabbrica, lei aveva sempre indossato una sottoveste bianca e un lungo, semplie, abito blu. L‘abito resta identico, ma bianco, il banchetto di nozze viene distribuito in gavette da grandi pentole di una cucina da campo. Sergej, ora, indossa un elegante gessato e utilizza il medesimo spray di Boris.

L’assenza di spirito umano si palesa anche nell'atteggiamento annoiato della polizia, che non attende altro che esercitare il proprio potere quasi come un passatempo: ora discorrendo su come creare guai a qualche intellettuale, ora confrontandosi su chi sappia meglio eseguire (ovviamente un paradosso visivo) fra loro lavori a maglia o all’uncinetto. Questo fa ben intuire le motivazioni della profonda avversione verso quest’opera da parte del regime sovietico: infatti se i primi anni d’azione di Lenin avevano già condotto al tradimento di molti ideali dichiarati prima del 1917, l’utopia rivoluzionaria era stata completamente svilita e il socialismo dichiarato dai dirigenti dell’URSS si era presto trasformato in mero strumento di propaganda, che consentisse di mantenere un’oppressione di potere di stampo e ordinamento oligarchico.

Straordinariamente coinvolgente il quarto atto: lo spazio che ospitava la camera nuziale di Katerina diviene una prigione con celle particolarmente anguste. Sonjetka è una detenuta più giovane ed eroticamente più esuberante e, completamente ridotta allo stato dell’animale in cattività, carezza il manganello che una guardia infila nella grata della sua cella con simulando una masturbazione. Katerina, al contrario, dimostra ancora il bisogno e la dipendenza di uno sfogo nevrotico del suo profondo disagio attraverso il violento erotismo di Sergej, che non prova alcun sentimento nei suoi confronti. La donna corrompe una guardia e consegna le sue calze (bene preziosissimo nel viaggio verso la Siberia) all’uomo, che le regala a Sonjetka, dalla cui vivacità sessuale è profondamente attratto. Ora il momento più emozionante e coinvolgente di tutta la produzione: Katerina si accorge che il suo rifugio nella trasgressione erotica non potrà proseguire, diviene lenta e meccanica nei movimenti, composta e dimessa nel portamento; raccoglie da terra un frammento di corda e si avvicina piano a Sonjetka. Come la rivale termina il suo canto e il tamburo intima la marcia ai detenuti, Katerina si pone alle sue spalle e, in simbiosi con il fortissimo dell'orchestra, quasi presa da un raptus stringe con un nodo la corda al collo di Sonjetka, sempre seguendo gli accenti musicali, dopodiché, cadenzata dall’imponente marcia sale le scale trascinando la malcapitata donna. Sonjetka si dibatte affannosamente alla ricerca del respiro, ma la devastazione mentale di Katerina sveglia in lei una forza simile a quella dell’Orlando furioso dell’Ariosto. Seppur minuta, conclude la sua scalata strattonando l’umano fardello e si pone dietro alcuni materassi che erano apparsi sulla scena al momento della retata della polizia che aveva portato al suo arresto; i materassi cadono e dal palazzo appaiono i corpi impiccati di Katerina e Sonjetka. La marcia degli altri detenuti riprende, salutata da una prosodia musicale dal sapore quasi salvifico, come se il sacrificio avesse liberato e salvato la donna.

Nel contesto di una compagnia eccezionale, brilla su tutte la stella di una strepitosa Evgenia Muraveva (Katerina Lvovna Ismailova). Il soprano russo, passato dal piccolo ruolo della cuoca Aks'nja, per l'indisposizione di Nina Stemme, a quello della protagonista, non delude, anzi stupisce. La Muraveva si dimostra attrice straordinaria. Il timbro è bello, caldo e rotondo; la proiezione perfetta, la posizione del suono centrata al meglio e i registri sono straordinariamente uniformi. Tuttavia le sue caratteristiche sono interpretazione e fraseggio. Magnifica nella gestione degli accenti e nelle variazioni del colore è commovente nel raccontare il dolore di Katerina, sia quando implora un bacio, una carezza da Sergej, sia quando dà sfogo al disagio insito nell’animo della protagonista, fatto di manifestazioni sadomasochistiche dirompenti, cagionate da un odio verso la vita che diviene odio verso se stessa, incapace di trovare soddisfazione e serenità, oltre che di dare la vita, attraverso la procreazione. Al termine ottiene un autentico tripudio e meritate ovazioni da parte del pubblico salisburghese. La speranza è quella di ritrovare Evgenia Muraveva presto sui massimi palcoscenici internazionali, perché questa è una artista che sicuramente potrà lasciare un segno indelebile negli anni a venire.

Difficile descrivere con dovizia tutti gli altri protagonisti: ciascuno, indistintamente, si dimostra attore consumato e artista di altissimo livello vocale. Bravissimo il basso Dmitry Ulyanov (Boris Ismailov), così come Brandon Jovanovich (Sergej), ma non sono da meno tutti gli altri interpreti: Svetlana Chuklinova (Aks'nja), Stanislav Trofimov (il Pope), Alexey Shishlyaev (capo della polizia),  Ksenia Dudnikova (Sonjetka), Andrei Popov, Oleg Budaratskiy, Igor Onishchenko,  Vasily Efimov,  Valentin Anikin, Andrii Goniukov, Gleb Peryazev, Martin Müller,  Oleg Zalytskiy,  Ilya Kutyukin.

Su tutti il trionfatore assoluto è stato, senz’ombra di dubbio, il concertatore Mariss Jansons, salutato da autentici boati già dopo l’intervallo, con taluni nel pubblico a levarsi in piedi. Ancor maggiore trionfo ha meritato al termine dell’opera, con tutta l’orchestra alzata ad applaudirlo. Suo il merito di aver saputo esaltare la tragedia, conferendole dei significati che tanto rammentavano la brutalità e la profondità di quella greca: grazie a lui sul palco salisburghese sembravano rivivere le emozioni di Sofocle, Eschilo e Euripide, provocando un entusiasmo negli astanti. Tutti alla ricerca di una catarsi aristotelica nel veder palesate le pulsioni di tutti noi dalla prosodia musicale manifestata dal golfo mistico. Si sa, la commedia coinvolge e rallegra, ma è la tragedia a esaltare e avvincere tutti noi che nei personaggi di Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk (come nella tragedia greca) non vediamo altro che l’esaltazione dell’immagine riflessa della nostra interiorità; possiamo imparare, così, a conoscerla e vincerla.

Protagonisti di una delle migliori prestazioni degli ultimi anni, tutti i complessi della Wiener Staatsoper impiegati, fra cui un magnifico Wiener Staatsopernchor, magistralmente diretto da Ernst Raffelsberger. Da sottolineare le rare capacità sceniche dei coristi impiegati sul palco del Großes Festspielhaus.

La restante parte visiva era a cura di Harald B. Thor (scene) Tanja Hofmann (costumi) Stefan Bolliger (luci). La drammaturgia di Christian Arseni.

foto © Salzburger Festspiele / Thomas Aurin (nel servizio fotografico Katerina è Nina Stemme)


 

 

 
 
 

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