L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le nozze di Fadinard, o la folle journée

 di Luigi Raso

 

Approda finalmente al San Carlo, con un inspiegabile ritardo, il capolavoro operistico di Nino Rota, uno degli ultimi gioielli della storia dell'opera buffa. Un'affiatata compagnia, la concertazione dinamica di Valerio Galli e lo spettacolo leggero e divertente di Elena Barbalich rendono giustizia alla partitura.

NAPOLI, 11 maggio 2018 - Una bella dose di Rossini, un po’ del Verdi disincantato del Falstaff, aggiungere le incandescenti sillabazioni rossiniane e donizettiane, squarci di lirismo melodico alla maniera del Gianni Schicchi, echi di Offenbach, del café-chantant, del vaudeville, qualche accenno di verismo, non dimenticare un pizzico della roboante cavalcata delle Valchirie, che non guasta mai e dà sempre la carica giusta, i contrattempi di una “folle giornata” matrimoniale, ed ecco Il cappello di paglia di Firenze. Un caleidoscopio di citazioni musicali, reinventate con lo stile leggero e onirico di Nino Rota, e qualche autoimprestito cinematografico costituiscono l’ossatura di questo capolavoro comico del ‘900, probabilmente il più riuscito musicalmente, quanto a schiettezza e inventiva, dopo lo Schicchi di Puccini.

Fedele D’Amico paragonò la musica di Nino Rota a “una farfalla sul pianoforte”: la definizione appare appropriata anche al caso del Cappello.

La farsa musicale approda al San Carlo, con inspiegabile ritardo rispetto alla prima palermitana del 1955, nell’allestimento della Fondazione lirico sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari e firmato da Elena Barbalich, con le scene e costumi di Tommaso Lagattolla, e le luci di Marco Giusti. Uno spettacolo leggero, frizzante, in sincrono con lo scintillio e la pulsazione ritmica della musica di Rota, curato nella recitazione, e, in sintesi, estremamente divertente.

La vicenda, una sorta di pochade francese che ben potrebbe attagliarsi a una farsa di Eduardo Scarpetta, è ambientata nella Parigi della Belle Époque, in opulenti ambienti alto borghesi. C’è qualche stilizzazione (il cavallo sostituito da un biciclo con testa equina sul manubrio), ci sono pattinatori e un felliniano trombettista. La scena è incorniciata da lampadine che alludono al frivolo mondo dell’operetta. I cambi di scena a vista, con giochi d’ombra su fondali colorati e illuminati, strizzano l’occhio alle raffinate e astratte silhouette strehleriane: citazioni teatrali per una farsa che ha nel rimando musicale la sua originale ed evidente cifra stilistica.

Lo spettacolo procede con leggerezza e ironia, senza inciampare in grevi frizzi e lazzi o in manierismi esasperati; la recitazione degli interpreti, sempre curata, è esaltata dal dominante senso della misura.

Complementare alla messa in scena è la concertazione di Valerio Galli, che imprime alla narrazione musicale un passo dinamico, leggero e scoppiettante; l’orchestra lo asseconda con precisione, con suono nitido e vivido in tutte le sezioni; si dimostra all’altezza del compito il coro diretto da Marco Faelli.

Il giovane direttore d’orchestra viareggino esalta le volute melodiche dal sapore pucciniano, l’effervescenza ritmica dei concertati, la plastica concitazione del temporale di derivazione rossiniana. Una lettura che ben individua lo stile e il fascino di questa luminosa farsa musicale, esaltandone gli aspetti ironici e lirici.

Un’affiatata compagnia di cantanti - attori contribuisce alla buona riuscita dello spettacolo: Filippo Adami è un Fadinard dalla voce gradevole, emessa con naturalezza e tendenzialmente a suo agio nel registro acuto, adatto a interpretare un giovane colto in una concitata e interminabile giornata matrimoniale. Il Nonancourt di Gianluca Buratto è un provincialotto simpatico, seppur rozzo e petulante con quel suo minacciare continuamente di mandare all’aria le nozze della figlia; ha voce dal notevole peso vocale, ben timbrata e proiettata. Matteo D’Apolito è un Beaupertuis dalla voce dal volume esiguo, dal timbro ordinario, ma comunque efficace nella scena del pediluvio. È lirica e innamorata l’Elena di Zuzana Marková, dal bel timbro, ma con qualche asprezza in alto. Anna Maria Sarra è una Anaide di bella presenza e bel timbro, scaltra e appassionata. Eufemia Tufano è una baronessa Champigny dal timbro brunito, aristocratica e incalzante come il personaggio richiede.

Un cameo la modista della grande Daniela Mazzuccato, la quale conserva intatta la propria innata simpatia e musicalità.

Il cast è completato dallo zio Vézinet di Marco Miglietta, efficace nel delineare lo zio sordo di Fadinard, e da Dario Giorgelè, nei panni di Emilio, amante di Anaide, il quale sfoggia voce squillante e personalità spavalda. Sergio Valentino e Antonio Mezzasalma, artisti del coro del San Carlo, interpretano, rispettivamente, il caporale e una guardia.

Dai complessi artistici del San Carlo è reclutato il violinista Minardi di Salvo Lombardo, professore d’orchestra tra i più raffinati dell’orchestra del San Carlo: dalla platea, prosecuzione scenica del salone della baronessa di Champigny, dà un breve compendio di agguerrita tecnica violinistica.

Al termine dello spettacolo un pubblico molto divertito tributa convinti applausi a tutti.

foto Francesco Squeglia. Le immagini si riferiscono alla compagnia esibitasi alla prima del 10 maggio (Adaini, Markovà, Buratto, De Simone, Malavasi, Sarra)


 

 

 
 
 

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