L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nei colori di Klimt

 di Andrea R. G. Pedrotti

Salome alla Staatsoper torna ad affascinare con un allestimento ispirato agli accostamenti cromatici dei dipinti di Gustav Klimt. Gun-Brit Barkim guida con passione e malizia un cast del tutto convincente.

VIENNA, 28 aprile 2019 - Il ciclo di opere tedesche alla Wiener Staatsoper si conclude con la Salome di Richard Strauss, il cui libretto, traduzione del testo francese di Oscar Wilde, non nasce per la musica e non consente al compositore bavarese di asservire il testo alla melodia, ma nulla osta alla dirompente drammaticità che egli sapeva imprimere sul pentagramma.

L'ormai storica regia di Boleslaw Barlog figura il Musikdrama straussiano come fosse un grande dipinto di Gustav Klimt. Chi avesse trascorso anche una breve vacanza a Vienna e si fosse soffermato ad ammirare i lavori del pittore locale, avrebbe potuto notare come non sia l'oro (o perlomeno non solo esso) a catturare l'occhio, ma tutto l'insieme cromatico del dipinto.

Indipendentemente dal carattere di scene e costumi, palesemente ispirati a Klimt, sono proprio i colori a dominare la concezione registica, specialmente col rosso sangue, che si manifesta sia nella semantica d'amore, sia in quella di morte, aumentando di intensità nella tinta man mano che il dramma si accende.

La prigione di Jochanaan è esattamente al centro del palcoscenico e sulla grata che vi dà accesso Salome interpreta la danza dei sette veli, gettando fra le feritoie alla cella del Battista alcuni dei suoi drappi caratterizzati dalle tinte care a Klimt. Il trono di Herodes, invece, si trova sulla sinistra, in cima a una scalinata, con alle spalle alcune cortigiane assise. Ai lati dei bracieri votivi.

Interessante l'idea di mantenere quasi sempre in scena i cinque giudei che, anche oltre al loro intervento, continuano a confrontarsi fra loro, commentando, silenti per il pubblico, ciò che sta accadendo nella reggia di Erode, con una gestualità che fa ben comprendere la discussione riguardo al dramma che si avvia a compimento. Ancor più interessante notare come Salome stessa ed Herodias osservino attente, quasi eccitate, la decapitazione di Jochanaan, in antitesi con gli uomini presenti, inorriditi dalla macabra richiesta della giovane principessa.

Bene tutto il cast, a partire dalla protagonista, interpretata da Gun-Brit Barkim con passionalità e malizia, figurando efficacemente il crescente disordine cagionato dalla passione erotica verso il corpo (come lei stessa dichiara) di Jochanaan, fino al turbine della passione necrofila e feticista dell'epilogo.

Vocalmente, da specialista del repertorio, è sicura, a tutto vantaggio della cura del fraseggio.

Piace particolarmente l'Herodes di Herwig Pecoraro, preciso dal punto di vista musicale e assai capace nella resa scenica e interpretativa. Convince, allo stesso modo, l'Herodias di Jane Henschel.

Assai incisivo lo Jochanaan di Markus Marquardt, parimenti all'ottimo Narraboth di Jörg Schneider.

Nota di merito particolare, come già era accaduto in Der Rosenkavalier [leggi la recensione], per Ulrike Hezel, interprete del paggio.

Compleatavano il cast: Thomas Ebenstein (primo giudeo), Peter Jelosits (secondo giudeo), Carlos Osuna (terzo giudeo), Benedikt Kobel (quarto giudeo), Sorin Coliban (quinto giudeo), Alexandru Moisiuc (primo nazareno), Manuel Walser (secondo nazareno), Wolfgang Bankl (primo soldato), Ayk Martirossian (secondo soldato), Jens Musger (un cappadociese) e Thomas Köber (uno schiavo).

Bene la concertazione di Michael Boer, specialmente per le scelte agogiche, mentre si sarebbe potuto osare di più nelle dinamiche, anche in considerazione della straordinaria qualità dell'organico orchestrale a disposizione. Il rapporto fra buca e palcoscenico è ottimale, le sezioni coese e gli interpreti sempre sostenuti nel canto.

Al termine grande succeso per uno dei compositori, Richard Strauss, favoriti dal pubblico viennese.

foto © Wiener Staatsoper GmbH / Michael Pöhn


 

 

 
 
 

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