L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Indice articoli

GOYESCAS

di Enrique Granados

Dalla pittura al pianoforte e dal pianoforte all’opera: nasce così la più celebre opera di Enrique Granados, Goyescas, su libretto di Fernando Periquet Zuaznabar. Granados era un pittore dilettante, e quando in Spagna si festeggiò il centocinquantesimo anniversario della nascita di Francisco Goya, nel 1897, cominciò ad appassionarsi alle opere del pittore. Così, tra il 1909 e il 1911, scrisse una suite pianistica, Goyescas, ispirata proprio ai temi cari a Goya: la Spagna popolare, la Madrid dei majos e delle majas (i giovani alla moda della seconda metà del Settecento, eleganti, irriverenti, seducenti). Quando l’Opéra di Parigi gli commissionò un’opera, pensò di trasformare quelle pagine pianistiche, orchestrandole, in un’opera. Nacque così Goyescas, dove quelle “pitture sonore” diventano una storia d’amore, gelosia e morte. L’intermezzo tra il primo e il secondo quadro, pagina che è rimasta in repertorio come brano orchestrale, fu invece composto espressamente per l’opera. La prima esecuzione era prevista all’Opéra di Parigi ma lo scoppio della Prima Guerra Mondiale fece cancellare l’esecuzione, così il debutto avvenne al Metropolitan di New York il 28 gennaio 1916: Granados venne chiamato dieci volte alla ribalta. Il successo fu tale che il presidente americano Thomas Woodrow Wilson lo invitò a tenere un recital pianistico alla Casa Bianca. Granados accettò e cancellò così la prenotazione per la nave che, insieme alla moglie Amparo, doveva riportarlo in patria. Fu così costretto a prendere una nave che lo portò in Inghilterra e poi un’altra, il Sussex, da Folkestone a Dieppe, in Francia. Durante la traversata della Manica però, il Sussex venne colpito da un missile lanciato da un sommergibile tedesco: Granados morì affogato nell’inutile tentativo di salvare la moglie: era il 24 marzo 1916.

ATTO UNICO

Quadro I

Davanti alla chiesa di San Antonio de la Florida, a Madrid, majos e majas scherzano, si corteggiano, giocano. Entra Paquiro il torero, mentre Fernando, capitano della guardia reale, cammina nervosamente nel chiostro. Paquiro fa dei complimenti alle ragazze, ma queste gli rispondono che sanno benissimo che lui ama Pepa; la ragazza sta arrivando in calesse e tutti la applaudono: “Il fascino di Pepa nessuno lo può negare”. Pepa dichiara il suo amore a Paquiro. In una portantina sorretta dai lacchè arriva Rosario, la duchessa, e tutti sono stupiti nel vederla arrivare in quel luogo popolare. Rosario è imbarazzata perché non vede Fernando, al quale ha dato appuntamento. Paquiro le va incontro e le ricorda che si erano già incontrati al ballo del candil (il candil è una lanterna a olio, il baile de candil era una festa popolare, frequentata anche da malavitosi, dove si ballava il flamenco e dove spesso gli aristocratici si divertivano in incognito). Fernando si sta avvicinando e ha sentito le parole del torero, immediata scatta la sua gelosia, ma Rosario lo rassicura: lei non gli sarà mai infedele. Fernando la sfida: se una volta è andata al ballo del candil, ci dovrà tornare, questa volta con lui. Pepa e gli altri commentano che per i due aristocratici sarà una bella sfida andare al ballo. Paquiro è dispiaciuto dal fatto che Rosario ci vada insieme a Fernando, e minacciosamente avverte il capitano che là dovranno parlarsi.

Quadro II

È notte. In un ampio capannone illuminato da lampade a olio, majos e majas fanno cerchio attorno a Pepa e Paquiro, che ballano un fandango. Entrano Rosario, impaurita, e Fernando, spavaldo. Majos e majas si burlano di loro. Paquiro dice a Fernando che non deve certo render conto a lui per aver invitato Rosario. Fernando sottolinea di aver scortato la sua donna per precauzione. È chiaro che tra i due non ci potrà essere pace: tutti commentano che la disputa non si potrà risolvere se non con un duello. Rosario è terrorizzata e sviene. Mentre tutti la soccorrono, i due litiganti si accordano: alle dieci al Prado. Rosario e Fernando escono e i balli riprendono.

Quadro III

Giardino del palazzo di Rosario, a Madrid. Rosario ascolta il canto di un usignolo; arriva Fernando e Rosario gli dichiara tutto il suo amore. I rintocchi di una campana annunciano che l’ora del duello è giunta. Passa Paquiro, nascosto dal suo mantello, e il capitano si allontana dalla sua amata, che lo segue. Si alza un grido: è quello del suo amato, ferito a morte; Rosario, disperata, lo trascina fino al suo giardino e Ferrando muore tra le sue braccia.

SUOR ANGELICA

di Giacomo Puccini

«Scrivo un’opera claustrale o monacale. Mi occorrono dunque diverse parole latine ad hoc. La mia scienza non arriva fino… al cielo vostro». Così il 1° maggio 1917 Giacomo Puccini scriveva all’amico Pietro Panichelli, il frate domenicano che già lo aveva aiutato per le “sonorità religiose” di Tosca. “L’opera claustrale o monacale” è Suor Angelica, pannello centrale del Trittico, insieme a Il tabarro e a Gianni Schicchi. Il libretto è di Giovacchino Forzano, che aveva proposto il soggetto a Puccini non sapendo che il compositore aveva una sorella, Iginia, suora agostiniana a Vicopelago, nei pressi di Lucca, e proprio alle monache del convento toscano il compositore fece ascoltare, con grande commozione, l’opera al pianoforte. Opera di voci solo femminili (solo nel finale si ode fuori scena il coro “O gloriosa virginum” intonato anche da voci maschili e voci bianche), è anche l’unico titolo nel quale Puccini affida un ruolo importante alla voce di un contralto: La zia Principessa, vera e propria torturatrice implacabile di suor Angelica. La prima del Trittico si tenne al Metropolitan di New York il 14 dicembre 1918: suor Angelica era Geraldine Farrar, la zia Principessa Flora Perini. “Senza mamma”, la più celebre aria dell’opera, venne però eseguita solo alla prima europea (Roma, Teatro Costanzi, 11 gennaio 1919, sul podio Gino Marinuzzi) perché Puccini l’aveva composta solo nell’ottobre 1918, dopo aver già terminato l’opera e Roberto Moranzoni, il direttore della prima newyorkese, era già partito per gli Stati Uniti a metà settembre.

L’azione si svolge in un monastero, sul finire del 1600.

ATTO UNICO

La preghiera. Il sipario si apre su un tramonto di primavera. Le suore sono in chiesa e cantano. Due converse, in ritardo, entrano in chiesa. Anche suor Angelica è in ritardo e prima di entrare si inginocchia e bacia la terra in atto di penitenza. Terminata la funzione, le sorelle escono e vengono benedette dalla badessa.

Le punizioni. La suora zelatrice rimprovera le due converse ritardatarie che, per punizione, devono recitare venti volte una preghiera. Suor Angelica non viene punita perché ha fatto atto di contrizione. Anche suor Lucilla, che ha riso, e suor Osmina – che aveva nascosto due rose nelle maniche –, vengono punite.

La ricreazione. Le suore si sparpagliano per il chiostro; suor Angelica cura erbe e fiori. Suor Genovieffa confessa di avere un desiderio: prima di prendere i voti era pastora e le piacerebbe accarezzare un agnellino. Le sorelle domandano a suor Angelica se ha dei desideri e lei risponde di no; a bassa voce le suore commentano che la sua è una bugia, perché tutti sanno che lei vorrebbe avere notizie della sua famiglia. Da sette anni è in monastero per punizione, lei che era nobile, e da allora non ha più avuto notizie. La suora infermiera chiede a suor Angelica un’erba per curare suor Chiara, punta dalle vespe: “Suor Angelica ha sempre una ricetta buona, fatta coi fiori”.

Il ritorno dalla cerca. Tornano le suore cercatrici, che consegnano alla suora dispensiera olio, nocciole, noci, una caciottella e ribes. Le suore raccontano che davanti al portone c’è una lussuosa berlina: suor Angelica domanda se si vede uno stemma. Forse è qualcuno della sua famiglia?

La zia Principessa. In parlatorio, suor Angelica riceve la zia Principessa. Con toni gelidi, la zia le ricorda che alla morte dei suoi genitori è stata lei a occuparsi dei nipoti. Ora la sorella di suor Angelica, Anna Viola, si sposa e quindi la suora deve firmare un documento per la divisione del patrimonio. Alla zia “inesorabile”, suor Angelica chiede notizie di suo figlio, quel bimbo che le fu strappato appena nato perché venuto al mondo fuori dal matrimonio, ragione per cui venne rinchiusa in convento. Freddamente la zia le comunica che è morto due anni prima, colpito da un male incurabile. Suor Angelica cade a terra piangendo. Entra la badessa, suor Angelica firma e la zia si allontana.

La grazia. Suor Angelica pensa con disperazione al suo bimbo, morto senza sapere quanto la sua mamma lo amasse. Di notte, esce nel chiostro e si prepara un infuso con erbe velenose.

Il miracolo. Suor Angelica non vuole morire in peccato mortale e chiede un segno alla Madonna: mentre si ode un coro di angeli: alla suora morente appare la Madonna, che sospinge verso di lei un bimbo biondo.

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