L’Ape musicale

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Note musicali

a cura di Fabio Larovere

Una regina del palcoscenico. Al termine dell’aria di ingresso dell’ultima opera interpretata in scena, lo scorso maggio al Teatro La Fenice di Venezia, qualcuno dal pubblico gridò “Regina!” all’indirizzo di Mariella Devia. E lo fece a buon diritto: Mariella Devia è una regina del melodramma. Quell’opera era Norma di Vincenzo Bellini, la cui sublime “Casta diva” è anche nel programma del recital di questa sera. Ad accompagnarla, in una inedita veste, i Solisti di Pavia guidati come sempre da un musicista intelligente e versatile come Enrico Dindo. Compagine ormai affermata a livello internazionale, i Solisti recano lustro a Pavia e alla sua lunga tradizione musicale, unendo a una indiscutibile perizia tecnica, fantasia e libertà di interpretazione.

Capolavoro in bilico tra Neoclassicismo e Romanticismo, Norma nacque nel 1831 sul palco della Scala di Milano. La protagonista, sacerdotessa divisa tra il dovere e l’amore, entra in scena e canta una sublime preghiera alla luna dove chiede l’impossibile: che si tempri l’ardore delle passioni, che la pace si diffonda come la lattiginosa luce dell’astro notturno che, pieno, guarda la terra. Subito dopo, nella cabaletta “Ah bello a me ritorna”, la donna prende il sopravvento e Norma, nel fiorire del virtuosismo vocale, spera nel suo cuore di poter riabbracciare l’amato.

Virtuoso, ma pure brillante e spensierato, è anche il valzer che Charles Gounod scrive per la sua Juliette, che cogliamo nel momento della festa a casa Capuleti, nel primo atto di Roméo et Juliette, capolavoro ispirato alla tragedia shakespeariana, rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1867. La ragazza non ha ancora incontrato Romeo e non pensa che a vivere nel suo sogno, a gustare l’ebbrezza della gioventù, senza preoccuparsi del matrimonio. Un raggio luminoso di gioia, prima dell’inesorabile consumarsi del dramma. È invece una preghiera ad Amore, che porga ristoro alla sua anima affranta, quella ricamata dalla Contessa nelle mozartiane Nozze di Figaro: sull’impasto timbrico scuro di archi e fiati, l’emozione si libra nella purezza del canto e la parola “lascia” sembra un sospiro. Il capolavoro tratto da La folle journée di Beaumarchais, applaudito a Vienna nel 1786, è il primo capitolo della superba trilogia che Mozart compone su libretto sapido e colto di Lorenzo Da Ponte.

La morte di Liù, il dolce e lirico soprano che si contrappone alla gelida Turandot, nell’omonima opera di Giacomo Puccini, è anche l’ultima pagina scritta dal compositore lucchese prima di morire. Per non svelare il nome del Principe ignoto, che Turandot vuole strapparle, Liù si rivolge alla rivale e, prima di uccidersi, le predice che anche lei sarà vittima dell’amore. Sulle note di “Tu che di gel sei cinta” si chiuse la prima dell’opera, incompiuta, alla Scala nel 1926.

La Prima Sinfonia di Beethoven venne scritta nell'arco di molti anni - dai primi schizzi all'esito finale non meno di cinque - e proposta in pubblico con il compositore ormai trentenne (tardi, rispetto ai suoi predecessori): ciò costituisce una testimonianza del peso crescente della sinfonia come "banco di prova" definitivo del valore di un autore e di quanto Beethoven tenesse ad un lavoro che oggi si è troppo facilmente portati a classificare come "giovanile".

Se è vero che il modello di Haydn - insegnante peraltro parecchio disattento del giovane Titano - è certamente il riferimento principale del lavoro, non mancano elementi di forte rottura con la tradizione. Caso emblematico è l'inizio - e non va dimenticato che sarà poi una tendenza del Beethoven maturo racchiudere nelle prime note il senso dell'intera composizione - un accordo di settima di dominante in una tonalità che non è quella principale, ma tratti personali emergono sia nell'esposizione dei temi principali che soprattutto nello sviluppo del primo movimento.

Tracce di Mozart emergono nel secondo movimento, il più "settecentesco" della sinfonia, mentre la vera rivoluzione si manifesta nel successivo Minuetto: della danza garbata e leziosa rimane solo il nome, il dinamismo del tema principale e la modulazione capricciosa ai toni lontani fanno di questa pagina uno "Scherzo" sotto mentite spoglie.

Il movimento finale è solitamente classificato come il più convenzionale scritto da Beethoven, un giudizio che si deve alla superficie di apparente leggerezza, che nasconde però una scrittura comunque personale e raffinata.

Sarebbe un errore, come troppo spesso di fa, valutare questa sinfonia alla luce delle successive, considerandola una prova non all'altezza dei maestri precedenti e del futuro Titano; si tratta in realtà di una sinfonia in sé perfettamente coerente, sintesi di grazia ed energia, che merita di essere apprezzata per ciò che ha da offrire, anziché per quello che le manca.


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