L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lisiecki, astro chopiniano

 di Alberto Ponti

Il giovanissimo talento conquista Torino con una grande esecuzione del Concerto in Mi minore

TORINO, 18 marzo 2016 - Un numeroso pubblico si è ritrovato il 17 e 18 marzo all’auditorium Toscanini per ascoltare il pianista canadese Jan Lisiecki (classe 1995), polacco di origine, nel primo concerto in mi minore op. 11 di Fryderyk Chopin (1810-1849). Dirigeva l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai un altro giovane musicista, l’italiano Gaetano d’Espinosa (nato a Palermo nel 1978).

Del ventunenne talento si dice un gran bene e gli ascoltatori torinesi hanno potuto confermare, alla sua prima apparizione subalpina, i lusinghieri giudizi che ne accompagnano la fama. Tocco pulito, sonoro e allo stesso tempo profondo (che ben si addice a un lavoro venato di malinconia come questo celebre concerto), supremo possesso dei mezzi tecnici, Lisiecki prende i tempi giusti, distilla ogni singola nota con fresca irruenza giovanile ma senza abbassarsi mai al gesto plateale. Una prevedibile e meritata standing ovation lo accoglie dopo un’esecuzione portata a termine senza apparente fatica, come se avesse suonato un breve pezzo a una serata fra amici anziché un caposaldo del repertorio di fronte a mille persone. Il Sogno dalle Scene infantili di Robert Schumann concesso come bis ricrea, in una manciata di minuti, gli incanti di cui avevamo goduto nella Romanza del concerto.

Musicista al servizio della musica, lontano da atteggiamenti divistici a cui è facile cedere in seguito ai precoci successi, il solista esce dalla sala al termine della serata come un qualsiasi spettatore e si avvia a piedi a un vicino albergo.

D’Espinosa accompagna con discrezione il pianoforte, in una partitura in cui l’intervento sinfonico, oltre l’esposizione dei temi all’inizio del primo tempo, è ridotta al minimo, nonostante lampi del genio chopiniano illuminino anche la scrittura orchestrale.

Il resto del programma, all’insegna di Jean Sibelius (1865-1957), si era aperto, servito come aperitivo, con il notissimo e conciso Valse triste dalle musiche di scena per Kuolema op. 44 (1903/04). Al termine dell’intervallo era invece in scaletta la ben più impegnativa Sinfonia n. 5 in mi bemolle maggiore op. 82 (1912/19). Opera tormentata, riscritta ben due volte dal compositore che alla fine optò per una singolare struttura in tre movimenti, si rivela partitura diseguale, in cui il primo tempo, che vorrebbe essere una fusione tra la tradizionale forma sonata e lo scherzo, è assai inferiore ai due successivi, ricchi di splendide idee melodiche vivificate da una scrittura sinfonica assai ispirata. Il direttore lavora sul pezzo con buono scavo timbrico (luminose sono le sonorità che riesce ad ottenere nel finale, con gli ottoni in grande spolvero) ma dimostra nel complesso un respiro troppo corto per essere pienamente convincente. La musica di Sibelius procede per lunghe arcate di suono che si dispongono le une sulle altre come un moto ondoso, ora improvvisamente increspandosi sotto i refoli dei legni, ora ritornando alla calma quasi immobile di un pedale degli archi che sembra evocare le ghiacciate distese della natia Finlandia. Il maestro siciliano non riesce a far suo il tempo interiore richiesto dall’autore e il lavoro dà l’impressione di sfuggirgli spesso dalle mani, con l’accostamento di una serie di episodi orchestrali privi di una precisa sensazione di unitarietà.

Al momento abbiamo apprezzato D’Espinosa per la sfida (ad eccezione delle prime due, capolavori autentici, e della Settima finale, le altre sinfonie di Sibelius possiedono tutte zone d’ombra poco convincenti), in attesa, un giorno, di vederlo anche vittorioso.


 

 

 
 
 

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