L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Blacher/Hagen/Ozgur/Curfs/Estay/Haedermans

Il genio di Dmitrij

 di Roberta Pedrotti

Šostakovič regna incontrastato in due trascrizioni per trio con pianoforte e percussioni affidate, per la stagione di Musica Insieme, a un eccellente ensemble di solisti.

BOLOGNA, 10 aprile 2017 - Il ritmo puro e semplice, l’oggetto più elementare, la musica commerciale, il puro intrattenimento del varietà. E, poi, il genio artistico che fa la differenza e sublima questa materia. Questo potrebbe essere il soggetto del concerto proposto da Musica Insieme, ancor più eloquente nei suoi diversi esiti.

Si comincia, infatti, lasciando affilare le armi ai tre percussionisti – Raymond Curf, Claudio Estay e Mark Haeldermans – con Music for Pieces of Wood di Steve Reich. Una decina di minuti di ritmi minimalisti che, si suppone, dovrebbero evocare intrecci di impulsi primordiali, suoni di natura, poliritmie esotiche ma che, in fin dei conti, appare come un piccolo esercizio tecnico, delibato come un bicchier d’acqua dai nostri magnifici tre.

Tutt’altra musica quando l’organico raddoppia e sopraggiungono il violino di Kolja Blacher, il violoncello di Clemens Hagen e il pianoforte di Aydin Özgür (all’occorrenza impegnato anche con la celesta) per la Suite per orchestra di varietà di Šostakovič. Qui è il genio del compositore sovietico a fare la differenza, portando all’ennesima potenza il tratto oggettivo, meccanico, vitalistico – futurista, si potrebbe dire – della musica di consumo fino a un parossismo visionario e giocoso che giunge ad aprire, nelle sue pieghe, squarci lirici, grotteschi, malinconici, ironici, tragici. Un’ebrezza esuberante traspira dal caleidoscopio di ritmi di danza dispiegato nell’unione perfetta di solisti di questo calibro, che, nell’organico asciutto (la trascrizione si deve a Oriol Cruixent), esaltano l’agile dettaglio, il sottinteso sottile.

L’eccellenza degli interpreti è la ragion d’essere della versione distillata (questa volta a cura di Viktor Derevianko) della Sinfonia n. 15, partitura elevata, seria, classicissima nell’organico originale e nell’architettura complessiva. Eppure anche qui emerge il gioco tragicomico della citazione, dell’elaborazione dell’elemento oggettivo (sia esso un tema, uno stilema, un ritmo), non a caso eleggendo a interlocutori proprio il drammaturgo musicale più spregiudicato ambiguo e straniante, Rossini, e quello più demiurgico e magniloquente, Wagner; il re del rinnovamento sematico dell’elemento musicale diversamente combinato e il profeta del Leitmotiv univoco e assoluto. Dall’Allegretto iniziale, con la sua propulsione meccanica zigzagante, il discorso, tuttavia, scivola pian piano, quasi senza soluzione di continuità perfino attraverso lo Scherzo, fra due Adagi. Un lirismo prende corpo per evaporare nel magistero di sei musicisti capaci di sussurrare con impalpabile intensità finanche il pianissimo delle percussioni. Ci si potrebbe perdere nel contemplare la duttilità della cavata e delle arcate di Blacher e Hagen, la loro articolazione netta e intelligente, o il dominio dinamico straordinario di Curfs, Estay ed Haedermans, o il sostegno plastico e discreto che Özgür sa dare agli uni o agli altri, ma il disegno complessivo è tanto chiaro e condiviso che resta solo da ammirare nell’insieme la proiezione in microcosmo del macrocosmo geniale di Šostakovič.

Peccato non aver potuto godere di un bis: avremmo riascoltato tanto volentieri anche solo una sequenza della Suite.


 

 

 
 
 

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