L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Mischa Maisky e James Conlon

Due star omaggiano Dvořák

 di Stefano Ceccarelli

Mentre l’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia si trova impegnata in una tournée europea, nella sala Santa Cecilia viene ospitata un’altra importante compagine italiana, l’Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN) della Rai. Sul podio il suo recentissimamente eletto direttore, James Conlon; solista ospite il celebre violoncellista Mischa Maisky. Il programma è un omaggio alla musica di uno dei melodisti più talentuosi del XIX secolo: Antonín Dvořák. Il primo tempo vede Maisky eseguire il Concerto in si minore per violoncello e orchestra op. 104, nel secondo v’è la Sinfonia n. 8 in sol maggiore op. 88. Il concerto è un successo.

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ROMA, 14 maggio 2017 – In una bella domenica di maggio e di sole, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, da quasi un anno diretta dall’inossidabile James Conlon, viene a esibirsi all’Auditorium Parco della Musica: il pubblico romano, infatti, è ancora in attesa del prossimo concerto con la sua amata orchestra da poco rientrata da una tournée europea. Questo concerto straordinario (in tutti i sensi) vede protagonista, accanto a Conlon, il celebre violoncellista lettone Mischa Maisky. I due scelgono un programma monografico incentrato sulla stupenda musica di Antonín Dvořák: l’accoppiata classica del Concerto in si minore per violoncello e dell’Ottava.

Il Concerto in si ci mostra fin dall’inizio di che pasta sono gli orchestrali della OSN. Nell’Allegro, Conlon fa entrare l’orchestra subito decisa, dopo gli indugi timbrici vaporosi che aprono il pezzo, generando buona potenza e compattezza, buon volume sonoro. L’entrata del violoncello è incredibile: Maisky è un mago del colore del suono, della sfumatura (non si esime neanche dal graffiare qualche passaggio, certo con eleganza), ma sa anche cantare intensamente, far vibrare l’anima del violoncello, come nel tema centrale, uscito dall’instancabilmente florida inventiva melodica del boemo. Stupendi i passaggi, quasi cadenzati nella libertà espressiva, che Dvořák pone nello sviluppo del I movimento: qui Maisky fa vedere agile velocità unita a ottima musicalità. Conlon termina epicamente. L’incipit vagamente pastorale del II (Adagio ma non troppo) vede l’orchestra ben centrata nei colori: l’ingresso di Maisky è elegiacamente delicato, ancora spumeggiante di screziati colori, vagamente malinconici. Conlon non si lascia sfuggire di cogliere e esaltare gli echi vagamente epici dell’incipit del III (Finale: Allegro moderato), che s’incardina poi in una melodia dal sapore popolare, quasi lisztiana nella sua pur curata facies formale. Maisky suona con precisione e vividezza il tema principale, per poi passare a un vivace sviluppo, in cui si amalgama, argentino, sopra l’impasto orchestrale; dopo una deliziosa transizione vagamente ritmata a trio, dal sapore popolareggiante, si arriva al finale, che Dvořák vuole terminare «con un episodio solenne, che gli offre il tempo di voltarsi indietro a osservare il passato con emozione toccante» (A. Malvano, dal programma di sala). Applausi scroscianti per tutti, soprattutto per Maisky, che regala al pubblico romano due bis bachiani: la Sarabanda dalla Suite n. 5 per violoncello solo e il celebre Preludio alla Suite n. 1.

Il secondo tempo è occupato dall’Ottava, sinfonia dalla scrittura di una limpidezza e bellezza abbacinanti, che può tranquillamente reggere il confronto con la più famosa Nona. Conlon interpreta perfettamente l’essenza luminosa della scrittura dell’Allegro con brio e l’orchestra suona assai bene questa scrittura tripudiante, raggiante. Nell’Adagio (II), «gioiello di strumentazione e di inventiva melodica» (E. Fava, sempre dal programma di sala), Conlon deliba tutte le sonorità che risuonano madide della pienezza della natura, di una natura slava, boema. L’americano riesce a portare l’orchestra a slanci sinceri: Wagner, Brahms sono presenti negli echi dei corni e in varie sonorità. Ho sempre amato Dvořák per il suo senso della melodia quasi infantile, umanamente sincera. Un talento di cristallina musicalità ha certo animato lo Scherzo (III), stupendo, che oscilla vagamente fra la gioia e la lieve malinconia, componente essenziale della vita stessa: Conlon lo dirige come meglio non si potrebbe. Il finale (IV) si conclude in una «gioia senza strepito» (Fava), ove l’americano dirige assai bene i vari giochi d’interseco ritmico. Grandi applausi anche per Conlon che alla testa della OSN della Rai porta a casa un bel concerto.


 

 

 
 
 

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