L’Ape musicale

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L'altro canto del cigno

 di José Noé Mercado

La Messa di Schubert nella Cattedrale della capitale messicana è un'esperienza quasi mistica, difficile da dimenticare.

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CITTA' del MESSICO, 2 marzo 2018 - Ci sono occasioni fortunate in cui l'ambiente entra in speciale armonia con il programma musicale di un concerto. Non succede sempre e a rigore è poco probabile che un'opera si trovi in sintonia estetica e di spirito con la genericità di un auditorium, per quanto siano rinomati i meriti acustici o per quanto neutro possa sembrare un teatro anche con una tradizione leggendaria per certi repertori.

Perciò, il passato 2  marzo è risultato una serata felice, lieta per il pubblico che si è radunato nella Catedral Metropolitana de la Asunción de la Santísima Virgen María a los Cielos, a Città del Messico, per ascoltare il concerto offerto dall'Orquesta Sinfónica Nacional (OSN), nell'ambito della XXXIV edizione del Festival del Centro Histórico, sotto la direzione del maestro titolare Carlos Miguel Prieto.

La cattedrale della capitale, sede dell'Arcidiocesi Primada de México, la cui costruzione risale al 1573 e si sarebbe protratta per più di duecentocinquanta anni, è stato un insuperabile scenario per un programma che, dopo la Sonata pian’e forte e la Canzona septimi toni di Giovanni Gabrieli, aveva come come portata principale la Messa No. 6 in mi bemolle maggiore, D. 950 di Franz Peter Schubert, con la participazione collettiva del Coro de Madrigalistas e del Solistas Ensamble, complessi dell'Instituto Nacional de Bellas Artes che si sono uniti in un unico gruppo corale, e le presenze soliste del soprano Ekaterina Tikhontchouk, il mezzosoprano Itia Domínguez, il basso Sergio Meneses e i tenori Ángel Ruz e Gustavo Cuautli.

Nel cuore architettonico affascinante ed eclettico della cattedrale — decorazioni, dipinti, sculture, ferro battuto —, nel suo centro d'intimità storica, artistica e liturgica coloniale e indipendente, la sezione degli ottoni dell'OSN ha mostrato la vivacità delle virtù stereofoniche di Gabrieli e ha introdotto lo stato d'animo degli astanti verso un'esperienza che sarebbe risultata di pace e spiritualità, quasi mistica.

Fra la primavera e l'estate del 1828, anno della Messa No. 6 sebbene sia stata eseguita postuma solo nel 1829, Franz Schubert era un compositore di notevole rilievo nel panorama romantico e, inoltre, pareva presagire la propria morte, che in effetti l'avrebbe colto in breve tempo, il 19 novembre.

Queste condizioni estetiche ed emotive si intrecciano in questa Messa composta da sei parti (“Kyrie”, “Gloria”, “Credo”, “Sanctus”, “Benedictus” e “Agnus Dei”) che è stata interpretata con confortante sensibilità e stile dalla OSN, dal coro e dai cinque solisti.

Fin dalle prime frasi si è potuto percepire lo Schubert sinfonico che scorre con espressività nell'insieme, senza perdere d'intimità ed eloquenza; quindi, con i solisti vocali, ha preso il volo il canto già delineato dal coro con la semplice delicatezza di un Lied, genere in cui Schubert eccelleva e, insieme, complesso come pochi; infine arriva alle ultime due sezioni con passaggi fugati d'ascendenza bachiana, in cui l'esecuzione raggiunge un eloquio di emozionante serenità.

La principale virtù delle voci e del canto di Tikhontchouk, Ruz, Cuautli e Meneses è stata affermarsi in una emissione di classe, aliena da inutili tensioni o da eccessi lirici. Si sono concentrati, con la raffinata e versatile Itia Domínguez, in una pace eterea, musicale. Le frasi del mezzosoprano istillavano bellezza, quiete e speranza nel gruppo dei solisti e hanno viaggiato con lirismo nell'atmosfera della cattedrale dominata dal coro.

L'interpretazione di questa Messa, un altro tipo di canto del cigno di Schubert, in cui il compositore viennese si mostra credente ma non acritico (l'omissione di alcune frasi dei testi che alludono all'istituzione ecclesiastica lo suggeriscono), ha costituito la prima esibizione della storia della OSN nella Catedral Metropolitana. Spero non sarà l'unica. i è trattato di un concerto breve — replicato nel Teatro del Bicentenario de León, Guanajuato, la sera del 4 marzo— he ha appena passato l'ora di durata, ma così piacevole e di qualità da imprimersi a lungo nella memoria di chi non è mancato all'appuntamento.


 

 

 
 
 

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