L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Disegnare la musica

 di Giuliana Dal Piaz

Dedicato alla figura del pittore, caricaturista e mecenate Pier Leone Ghezzi, lo spettacolo proposto dalla Tafelmusik Baroque Orchestra unisce musica barocca e arti figurative. Ospite eccellente dell'ensemble, il soprano Roberta Invernizzi.

Toronto, 17 gennaio 2019 - La Tafelmusik Baroque Orchestra inizia l’anno con lo spettacolo multimediale The Harlequin Salon, sulla traccia di altri eventi analoghi progettati dalla contrabbassista Alison Mckay, dal The Galileo Project, fino a Tales of Two Cities: the Leipzig-Damascus Coffee Houses. Il concerto si concentra stavolta su uno specifico periodo musicale del barocco italiano, e gira intorno alla figura del pittore e impresario Pier Leone Ghezzi (1674-1755). A Roma, capitale non solo dello stato temporale della Chiesa, ma soprattutto della cattolicità, nel XVIII secolo, Ghezzi, pittore affermato e dotato di buoni mezzi economici, appassionato di musica, teneva ogni settimana nel suo palazzo un concerto privato, che lui chiamava “Accademia Musicale”, scritturando gli artisti importanti che transitavano da Roma. Partecipavano così alle sue serate compositori, concertisti, cantanti di nome, che – scrive Marco Cera nella presentazione dell’evento – “speravano di impressionare il loro pubblico con composizioni nuove o le proprie capacità musicali. Ma ricevevano spesso in cambio, invece, la nuova invenzione italiana, una ‘caricatura’, arte della quale Ghezzi era il primo, autentico professionista”. Abile nel disegno, durante il concerto Cera traccia - su una lavagna luminosa nascosta - una copia della caricatura a suo tempo eseguita da Ghezzi, mentre sullo schermo il suo disegno svanisce pian piano per lasciare in vista l’originale, con la firma e le, spesso irriverenti, annotazioni a penna del pittore romano.

Per creare l’atmosfera di una delle Accademie di Ghezzi, è stato creato in scena un ambiente d’epoca: nella prima parte del concerto spiccano, da un lato, lo scrittoio del pittore, con varie penne d’oca e calamaio, dall’altro sedie, e al centro un leggio e poltroncine barocchi. Nella seconda parte, sulla destra del palcoscenico viene imbandito, con suppellettili e accessori in stile, un tavolo rotondo per la cena con gli ospiti di rilievo. Onnipresente, in veste e maschera di Arlecchino, l’anonimo servo di Ghezzi, che funge in qualche modo da narratore della serata.

Per la ricostruzione viene evocato anche il vestiario cui accennano le caricature: è stato coinvolto nello spettacolo in una veste inedita il maestro Ivars Taurins – direttore del Coro da Camera della Tafelmusik Baroque Orchestra e spesso della stessa Orchestra – il quale si inventa progettista-costumista con ottimi risultati (i costumi sono stati poi materialmente realizzati dalla brava sarta Franca Simone). Ecco quindi che i protagonisti della serata, l’oboista Marco Cera, come Pier Leone Ghezzi, e la violinista Elisa Citterio, come Antonio Vivaldi, indossano il banyan, sorta di caftano d’origine orientale, molto usato in privato da artisti ed intellettuali del secolo XVIII; il violoncellista Felix Deak, come Giovanni Bononcini, e soprattutto lo straordinario soprano Roberta Invernizzi, prima come Faustina Bordoni (con la sua robe volante) e poi come il famoso e sofisticato castrato (Carlo Broschi) Farinelli, indossano i costumi eternati nelle caricature ma anche in ritratti d’epoca. Nel caso di Farinelli, è stato riprodotto il costume in cui lo aveva ritratto Jacopo Amigoni, con in evidenza la stella dell’Ordine di Calatrava concessagli dal re Filippo V di Spagna.

Ma veniamo alla musica: tra i brani certamente legati all’epoca e alla vita di Ghezzi, dà inizio allo spettacolo l’ouverture a L’oracolo del Fato di Francesco Gasparini, maestro, tra l’altro, di Benedetto Marcello e Domenico Scarlatti, che a Roma dirigeva, intorno al 1720, la Cappella di San Giovanni in Laterano, e che Ghezzi aveva incontrato in occasione di una serata musicale a casa del Cardinale Polignac. Seguono due pezzi di Antonio Vivaldi, la complessa e virtuosistica “Sonata in Do Minore per violino e basso continuo, RV6”, probabilmente presentata a Roma al Cardinale Ottoboni, della quale Elisa Citterio dà un’interpretazione straordinaria, e la “Sonata in Sol Maggiore per 2 violini, RV 71”, in cui Geneviève Gilardeau accompagna la Citterio, impersonando – non certo come farebbe un’apprendista! – una delle allieve di Vivaldi presso il veneziano Ospedale della Pietà. “La caricatura che Ghezzi fa di Antonio Vivaldi è – scrive Cera – la più importante, autentica e realistica immagine del compositore veneziano. Vediamo in essa il suo gran naso uncinato (Gasparini dà a Vivaldi il soprannome di Naso in una lettera all’amico Pier Francesco Tosi), il mento con la fossetta, la fronte sfuggente, la bocca a cuore e i capelli rosso fiammanti su cui non indossa parrucca”. E la didascalia “Il Prete rosso, compositore di musica che ha scritto l’opera [in programma] al Capranica nel 1723."

Anche il più importante soprano dell’epoca veniva da Venezia, Faustina Bordoni, invitata a Roma dal Principe Colonna per esibirsi in varie accademie musicali, ed era quella, per il pubblico romano, l’unica opportunità di ascoltare delle cantanti professioniste, invece degli onnipresenti castrati, nelle parti femminili. La Bordoni aveva studiato con Gasparini e Marcello; a ventiquattro anni era già la regina dell’opera a Napoli e per lei avevano scritto compositori come Vinci e Porpora. Ecco quindi l’aria “Son prigioniera d’amore” dall’opera Poro di Nicola Porpora e poi, in spiritosa risposta alle profferte amorose di Arlecchino, l’aria “Non ti minaccio sdegno” dal Catone in Utica di Leonardo Vinci. A suo agio nei panni della Bordoni, Roberta Invernizzi dispiega la splendida voce, cristallina e duttile, che l’ha resa famosa nel mondo come cantante di musica barocca.

La seconda parte del concerto inizia con l’ouverture alla Partenope di Leonardo Vinci. Il commento alla caricatura che Ghezzi fa di Vinci: “Signor Vinci da Napoli: morto nel 1730, poté essere sepolto solo grazie alla generosità della sorella di Sua Eminenza Ruffo, dato che possedeva solo tre soldi. Era un buon musicista che componeva con spirito, ma era uomo da giocarsi perfino gli occhi”. Ma i commenti di Ghezzi potevano essere anche abbastanza sobri, come nel caso di Giovanni Bononcini: “Signor Giovanni Bononcini, famoso sonator di violoncello e compositore di musica.” Lo ritrae vestito con eleganza, una elaborata parrucca, spadino e tricorno sotto il braccio. Sua la “Sonata prima per violoncello e continuo” che il gruppo da camera esegue con perizia. Torna Porpora con l’aria “Alto Giove” dal Polifemo, interpretata dal soprano già in veste di Farinelli, così come l’aria “Qual guerriero in campo armato” da Idapse di Riccardo Broschi (il fratello compositore di Farinelli). La serata si chiude con l’aria “Lieto così talvolta” dall’Adriano in Siria di Giovanni Battista Pergolesi, bellissima aria per soprano con oboe obbligato’ e con l’ouverture alla stessa opera. Nelle sue Memorie, Ghezzi scrive: “Nel Maggio 1734, Pergolesi venne a Roma da Napoli per vegliare sulla messa in scena dell’opera commissionatagli dal Duca di Matalona. La musica era piena di spirito e straordinariamente vivace!”.

Notevole la forza vocale che implicavano, molto più delle arie scritte per cantanti donne, quelle composte per i castrati: si sapeva, infatti, che con la maggior ampiezza dei loro polmoni e lo studio approfondito fin dalla tenera età, potevano sostenere note più lunghe e colorature più complesse. Meraviglioso il modo in cui Roberta Invernizzi può interpretare, senza sforzo apparente, entrambi i tipi di partiture: la sua voce perfetta per timbro e tonalità, limpida come acqua sorgiva, raggiunge le note più alte senza mai perdere morbidezza, forza e dolcezza. L’aria di Pergolesi ha rappresentato un duetto superbo tra l’oboe e la voce femminile, che modulava “Lieto così talvolta/fra lacci ancor s’ascolta/ cantar quell’usignolo...”, e sembrava davvero di ascoltare il cinguettio dell’usignolo assieme alle note suadenti dell’oboe.

Purtroppo il pubblico canadese non ha occasioni frequenti di ascoltare soprani come lei, voci privilegiate e mature che rappresentano una vera gioia per l’ascolto. Ai grandi pregi della sua voce, la Invernizzi aggiunge poi – e non è poco! – una notevole capacità di recitazione e ironia per partecipare allo spettacolo da autentica protagonista, sostenuta dall’impeccabile prestazione musicale dei membri del gruppo da camera di Tafelmusik.

Confesso che mi sarei aspettata maggiore entusiasmo dal pubblico presente in sala, sempre pronto ad applaudire in piedi le voci appena un po’ note, ma che non ha dimostrato per l’Invernizzi e lo spettacolo tutto l’apprezzamento delirante che gli ho visto prodigare altre volte. È apparso forse un po’ troppo sofisticato? Seguire il movimento della penna d’oca di Marco Cera sullo schermo, è risultato una distrazione per l’ascolto? La narrativa di Arlecchino in un inglese fortemente accentato (l’attore Dino Gonçalves è bravissimo nel ruolo della maschera bergamasca, ma non risulta sempre facile capirne le frasi e gli scherzi salaci...) non ha fatto presa sugli astanti?

Va anche detto che la maggior partecipazione, in senso lato, del pubblico, ha luogo tra il venerdì e la domenica, quando la Jeanne Lamon Hall registra il “tutto esaurito”.

 

THE HARLEQUIN SALON – Tafelmusik Baroque Orchestra, Trinity-St. Paul’s Centre (16-20 gennaio). Evento ideato, programmato e scritto da Marco Cera, oboista stabile della Tafelmusik. Direzione musicale e Violino: Elisa Citterio. Direzione teatrale: Guillaume Bernardi. Disegno dei costumi: Ivars Taurins. Realizzazione dei costumi: Franca Simone.

Artisti invitati: Roberta Invernizzi, soprano. Dino Gonçalves, attore.


 

 

 
 
 

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