L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Francia, Italia, Russia

 di Luigi Raso

Una deflagrazione di applausi accoglie Valery Gergiev e l'Orchestra del Mariinskiy in concerto al Teatro di San Carlo con un programma europeo, fra l'Italia vista da Mendelssohn, la Francia di Debussy, il russo Musorgskij orchestrato da Ravel e Verdi che rielabora per i compatrioti un'opera concepita per San Pietroburgo.

NAPOLI, 02 febbraio 2019 - Un capolavoro del repertorio francese, uno del repertorio sinfonico tedesco e uno di quello russo, rivisitato e reinventato da un compositore basco - francese, costituiscono l’ossatura della breve tournèe italiana (il 2 febbraio al San Carlo e il 4 alla Scala) dell’Orchestra del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo diretta da Valery Gergiev.

Ad aprire il concerto è Prélude a l'après-midi d'un faune (1892 - ‘94), tra i primi capolavori di Claude Debussy, breve composizione dallo spiccato edonismo sonoro, ispirato a una poesia di Stephane Mallarmé. Gergiev stacca un tempo lento che amplifica la sensazione di voluttuosa sospensione evocata dal tema introdotto dal flauto. Un arresto contemplativo che lentamente si incrina con l’aggiungersi degli altri strumenti, creando impasti timbrici intensi, volute melodiche coinvolgenti.

Le mani di Gergiev si librano nell’aria come libellule sulla “sua” orchestra: direttore dal raro magnetismo, dallo sguardo ardente e profondo da personaggio di Dostoevskij, gli bastano poche battute per comprendere e quasi riuscire a vedere quei fili invisibili che lo legano all’orchestra del Mariinsky; dirige tutto a memoria e non c’è il podio, scegliendo di restare tra i suoi orchestrali.

Dopo pochi minuti l’incanto sono è compiuto: l’attacco degli archi è morbidissimo, il gioco dei legni perfetto, l’impasto timbrico sorprendente, la tensione, sottile e palpitante, percettibilissima e crescente. Tutte le sezioni orchestrali dimostrano di essere in perfetta forma e in sintonia con Gergiev.

L’atmosfera del brano, che coniuga carnalità e attesa, però, più che ricordare le esperienze sensuali del fauno di Mallarmè, sembra evocare l’immobilismo dell’universo letterario dei racconti di Čechov: una inazione esistenziale, contemplativa e struggente, aliena da quel sonno pomeridiano del fauno che risveglierà la sua sensualità.

Nel finale Gergiev rarefà le sonorità fino a renderle evanescenti, diafane: quel mondo sonoro, creato con quel volare personalissimo delle mani senza bacchetta, sfuma nel silenzio della sala ipnotizzata dal magnetismo del direttore russo.

Si percepisce l’anima russa del direttore moscovita e della sua orchestra anche nella lettura della Sinfonian. 4 in la maggiore "Italiana", Op. 90 di Felix Mendelssohn-Bartholdy.

Abbozzata tra il 1830-1831 durante il viaggio in Italia del giovane compositore amburghese, è un taccuino sonoro di sensazioni, suoni e danze del suo personale e limitato (non si spinse oltre Napoli) Italienische Reise: una sinfonia gioiosa, piena di luce, dall’incedere dionisiaco, una composizione di un romantico felice, immerso nella comprensione del mondo mediterraneo, pur con tratti con venature di nostalgica malinconia.

L’attacco dell’Allegro vivace che apre la sinfonia è un po’ troppo dimesso rispetto all’esplosione ritmica che richiede la partitura; preciso nella quadratura generale, ben suonato, ma privo di quel guizzante dàimon italiano così ben evocato da Mendelssohn-Bartholdy e serpeggiante nelle pieghe del movimento. Il successivo Andante con moto è immerso in una pastosa e contemplativa malinconia, ben lontana dal clima espressivo del primo movimento.

Gergiev mette in risalto il dialogo melodico e armonico dei violoncelli e dei contrabbassi che completano e quasi “contrastano” il procedere del tema melodico esposto dai violini e dai legni: una pulsazione ritmica incessante, un ticchettio ben udibile e che, nella contrapposizione al lirismo del tema principale, crea un effetto sonoro di grande originalità. Una piccola incertezza nell’attacco degli archi, subito risolta, apre il Con moto moderato, una rievocazione dell'antico minuetto, a cui segue la fanfara dei corni nel Trio, eseguita con precisione e senza decise cesure con la tinta emotiva del movimento.

È nel Saltarello. Presto finale che si rifà vivo quel dàimon che, invece, sembrava nascondersi nel primo movimento: l’attacco è febbrile, la pulsazione ritmica strettissima e precisa; il suono tagliente, essenziale nella luminosità e perfezione degli ottoni e dei legni, intenso lo staccato degli archi.

Il programma del concerto si conclude con uno dei brani più frequentati dal direttore russo, Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij nella orchestrazione di Maurice Ravel. Composti per pianoforte nel 1874 in memoria dell'amico architetto e pittore Viktor Hartmann morto l'anno precedente, furono orchestrati da Ravel nel 1922, creando, di fatto, un poema sinfonico e snaturando, con la magniloquenza strumentale, l’intimo e raccolto omaggio pianistico di Musorgskij all’amico scomparso.

Della partitura Gergiev esalta i contrasti sonori e dinamici, rendendo magnificamente, grazie alla compattezza della compagine orchestrale, i colori dei bozzetti sonori che compongono il brano. Gli attacchi sono decisi, dal tratto rude, quasi barbarico, intensi e vibranti; gli interventi degli ottoni, dei corni e dei tromboni in particolare, dall’ottimo suono.

Meraviglioso il colore cinereo della nenia del sassofono ne Le vieux chateau cullata dalla morbidezza del tema esposto dagli archi; il gioco dei legni nei quadri Tuileries - Dispute d'enfants après jeux e Ballet des poussins dans leurs coques ha sapore stravinskjano, oggettivo e secco: ritmo che si fa suono. Dal Cum mortuis in lingua mortua (Andante non troppo, con lamento) Gergiev inizia a preparare quel crescendo di tensione emotiva e sonora che deflagrerà, poi, nella monumentalità sonora de La grande porte de Kiev, acme dell’intera composizione, eseguita con perentorietà dagli ottoni e dal procedere “a blocchi”, poderoso e trionfalistico degli archi.

Terminato il brano, pochi secondi di silenzio, e la deflagrazione è di applausi.

Gergiev e l’Orchestra del Mariinsky non si fanno pregare tanto prima di concedere il bis, la sinfonia da La forza del destino di Verdi: è un doppio omaggio, all’Italia e a San Pietroburgo, a quel Teatro Mariinsky che nel 1862 vide nascere l’opera di Verdi, benché priva della sinfonia, composta in occasione della ripresa scaligera del 1869. Tesa come un arco di violino, la pagina verdiana procede spedita, con momenti, come l’introduzione del tema iniziale da parte dei violini, di intenso lirismo.

Gli applausi finali, tributati da parte di una sala gioiosamente (e finalmente!) strapiena, sono fragorosissimi.

Meritano ben più di un ringraziamento quelle dodici aziende campane che con un investimento triennale hanno dato vita al progetto Concerto d’Impresa, rendendo possibile la realizzazione del concerto di stasera, quello, il prossimo 8 marzo, di Cecilia Bartoli con l’Ensemble Les Musiciens du Prince-Monaco; nel mese di giugno, poi, l’esecuzione integrale -e in una sola giornata- delle sinfonie di Beethoven affidate alla bacchetta di Juraj Valchua alla testa dell’Orchestra Sinfonica nazionale della RAI.


 

 

 
 
 

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