Il fascino discreto del pianoforte
di Roberta Pedrotti
Maria João Pires, in recital per Bologna Festival fra Beethoven e Chopin, esprime la sua classe affabile e raffinata, che s'illumina soprattutto nei Notturni del Polacco.
BOLOGNA 19 giugno 2019 - L'alleanza siglata quest'anno fra pianofortissimo e Bologna Festival inizia con un accostamento forse imprevisto, certo significativo: il 18 giugno l'inaugurazione del primo porta alla ribalta una pianista undicenne [leggi la recensione], il giorno seguente, il secondo si prolunga nell'estate oltre l'usato per il recital di una pianista che fra un mesetto di anni ne compirà settantacinque. E per poco, giusto un ritardo aereo a scombinare le occasioni, non si sono incontrate, Alexandra Dovgan e Maria João Pires, lasciando agli ascoltatori di entrambe le serate l'emozione della simbolica stretta di mano fra generazioni.
Con bella voce sottile e cordiale, la musicista portoghese annuncia, sembra quasi chieda il permesso, che premetterà una Bagatella alla Sonata beethoveniana (la 32 op. 111) prevista nella prima parte. Un fuori programma prima del programma, un pre-bis che scioglie le dita e fa da aperitivo alla portata principale.
Sia subito detto, non è la carta della precisione assoluta l'asso nella manica di Maria João Pires oggi, né questo ci si aspetta da lei. Ci si concentra, piuttosto, sulla misura del suo fraseggio affabile, sul porgere garbato, quasi discreto, che non si lascia tentare dai contrasti enigmatici della Sonata, né dallo scatto esuberante delle battute “swing” del secondo movimento. Non si tratta, tuttavia, di una lettura rinunciataria, di una visione smussata, giacché è evidente la scelta poetica sottesa a questo raccoglimento. Evita ogni enfasi, dimostra di evitarla con cognizione di causa, consapevole e matura visione d'insieme, mostra la Sonata sotto un'altra luce senza travisarla, anzi, con alcune intuizioni dinamiche davvero sottili, in un intelligente lavoro per sottrazione.
La classe di Maria João Pires si afferma poi nei Notturni di Chopin che aprono la seconda parte, op. 9, op. 27 e op. 72. Il suo uso del rubato potrebbe sembrare perfino spregiudicato, se non ci fosse sempre quell'eleganza di fondo, quella cordialità discreta a mantenere le fila di un discorso perfettamente calibrato e suadente, all'occorrenza assertivo, talora ambiguo e sfuggente, sempre equilibrato. Ci accoglie sorridente in un clima salottiero dove non troviamo rassicuranti pasticcini e arredi Biedermeier, bensì l'affabilità di una profonda civiltà poetica e musicale. Il tocco sfuma morbidissimo su contorni ben definiti in una tavolozza essenziale nelle tinte quanto ricca nelle gradazioni. Dall'ispirazione notturna, scivola poi con facilità nei due Valzer op. 69 che chiudono il programma ufficiale. Ancora Chopin, valzer op. 64 n.2, per il bis conclusivo e la dolce signora del pianoforte si congeda gli fra applausi calorosi che premiano una classe discreta e i lampi delle sue raffinate intuizioni.