L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il vero direttore

di Roberta Pedrotti

Debutto entusiasmante per Francesco Lanzillotta sul podio dell'Orchestra del Comunale di Bologna. Musicista e artista completo, il direttore romano è da considerarsi a buon titolo fra le bacchette più interessanti di una generazione (quella fra i trenta e i quarant'anni) che sta spazzando via con la sua solida qualità le chimere di carriere non fondate sull'esperienza e su una preparazione altrettanto solida.

BOLOGNA, 23 maggio 2014 - Dopo la carica dei baby direttori sembra finalmente tornata l'ora dei veri direttori. Dopo aver visto manipoli di ventenni buttati allo sbaraglio fra luci mediatiche e podi sovente troppo grandi per loro alla ricerca di un genio che non sempre si palesava, ci troviamo a contare con soddisfazione un bel gruppo di bacchette giunte al successo per vie e tempi diversi, ma mature solide, sicure e interessanti. Anche senza citare nomi come quello del quarantaduenne Vladimir Jurowski (che enfant prodige del podio lo è stato sul serio) o il trentanovenne Yannick Nézet-Séguin con la sua sfolgorante carriera internazionale, le figure di Sebastiano Rolli (classe '75), Jader Bignamini ('76) o Michele Mariotti ('79) sono fra quelle che più ci confortano e fanno sperare, forti di tecnica, esperienza, personalità e intelligenza musicale. A questi aggiungiamo con entusiasmo Francesco Lanzillotta (classe 1977), neodirettore della Filarmonica Toscanini, diviso, con risultati parimenti lusinghieri, fra attività sinfonica e operistica e si affaccia ora sulle principali piazze italiane, che gli debbono la massima attenzione. Non previsto in origine nella stagione sinfonica del Comunale e inserito in corso d'opera in seguito a qualche variazione di programma, il suo debutto bolognese è, infatti, di quelli che lasciano il segno, confermando le più rosee anticipazioni di chi già aveva avuto occasione di applaudirlo. Lanzillotta eredita un programma non suo, un programma insidioso; attorno al Fairytale Poem (Poema-Skazka) di Sofija Gubajdulina – brano del 1971 non fra i più sperimentali della compositrice tatara ma certo impegnativo e di non immediata presa sul pubblico più tradizionalista – si trovavano, infatti, l'ouverture Romeo e Giulietta di Čajkovskij e la suite sinfonica Shahrazād di Rimskij-Korsakov, pezzi di grande popolarità e, specie il secondo, di grande virtuosismo orchestrale, in cui sarebbe troppo facile abbandonarsi all'effetto dei temi più noti e accattivanti. Il direttore romano non si fa intimidire, è sicuro, elegante e preciso nel gesto. Netto, come i complessi del Comunale, che raramente abbiamo ascoltato così concentrati e precisi.

Rifulge così in un'esecuzione eccellente il pezzo della Gubajdulina, in cui Lanzillotta fa valere tutta la sua classe e la sua profonda conoscenza del repertorio degli ultimi decenni: la fiaba del gessetto che sogna di creare mondi incantati e trascorre gran parte della sua esistenza tracciando formule e tabelline su una lavagna, prima di languire nell'oscurità d'una tasca e infine consumarsi definitivamente nell'entusiastico sfogo della fantasia di un ragazzino sul selciato, svanendo nella realizzazione del suo più grande desiderio, possiede il fascino stupefatto del racconto per l'infanzia, tanto caro agli artisti slavi, ma anche l'ispirazione superiore della metafora del percorso dell'artista, fra frustrazioni, aneliti, studio, esercitazioni slanci creativi. I due livelli sono egualmente chiari ed equilibrati nel disegno narrativo di Lanzillotta, che dispiega come meglio non si potrebbe il rapporto continuo e conflagrazione e deflagrazione fra materiale sonoro isolato – si direbbe destrutturato – e costruzione melodica. Già al termine dell'ouverture di Čajkovskij, però, gli sguardi stupefatti e i sorrisi compiaciuti avevano cominciato a rispondersi, misti agli applausi, fra le poltrone della platea. Il talento prepotente ma ancora acerbo del giovane Pëtr Il'ič è sbalzato ancora una volta con un'incisività e un'intelligenza notevolissime, dando vita al germe drammaturgico senza forzandone la natura, ma dispiegando crescendo, rubati, colori e fraseggio con il gusto e la tecnica del grande direttore. Qualità che ritroviamo nella scrittura lussureggiante di Rimskij-Korsakov, che Lanzillotta, da vero incantatore, legge con piglio avvincente e incalzante, delibando l'esotismo nella sua scintillante sensualità, senza renderlo zuccheroso o frastornante. Ci guida in un universo di sogni e avventure, non ci confonde ma ci affascina, perché nel labirinto di questa preziosissima orchestrazione ogni suono è talmente giusto, sempre puntuale, limpido, ben delineato, morbido o aguzzo che sia, da non farci sentire mai smarriti, mai abbagliati. I contorni dell'arabesco sono sempre bene a fuoco, e in ciò consiste l'ineffabile malìa del sogno delle Mille e una notte. Poi Lanzillotta, dolcemente, ci risveglia, chiude il suo racconto, ringrazia con garbo e portamento elegante quanto la sua musicalità il pubblico che tributa copiosi applausi. Dalla tragica elegia degli amanti veronesi alle avventure di Sinbad, però, il racconto che ci resta impresso nella mente, significativa parabola di questo successo, è quella del gessetto: l'arte, quella vera, non si esprime selvaggia e sorgiva, ma modella l'istinto e l'ispirazione per permetter loro di raggiungere l'obbiettivo con gli affilati strumenti della tecnica e dell'esperienza.


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