L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il cuore della città

di Roberta Pedrotti

Il Teatro Grande di Brescia, con il Comune e la Diocesi, offre un concerto commemorativo per le vittime del coronavirus in una provincia che ha patito la pandemia in maniera particolarmente dura. La Chiesa del Carmine è il luogo ideale per l'occasione, così come le musiche di Vivaldi e l'eccellente interpretazione di Raffaele Pe e dell'ensemble La lira di Orfeo accrescono il valore di questo momento di condivisione.

BRESCIA, 9 luglio 2020 - Era il cuore popolare del centro di Brescia, il quartiere decaduto fino a diventare sinonimo di degrado e malaffare, rinato negli ultimi anni con una riqualificazione sociale e urbanistica che ne stava valorizzando sia le radici tradizionali, sia la vivace integrazione multietnica, fra locali tipici ed esotici. Oggi, vedere qualche vetrina abbassata e qualche triste "affittasi" fa temere gli effetti collaterali della pandemia sul tessuto socio-economico, ma all'orizzonte la nomina congiunta di Brescia e Bergamo come capitali della cultura 2023 sembra già la migliore occasione per consolidare la rinascita del quartiere del Carmine, a partire dalla chiesa cui deve il nome. 

Non c'è bresciano che non conosca la chiesa di Santa Maria del Carmine, ma per il visitatore è forse una meta che rischia di passare inosservata. Male. Fra le non poche gemme ecclesiastiche della Leonessa d'Italia, la chiesa del Carmine occupa un posto d'onore, e per il colpo d'occhio straordinariamente suggestivo e armonioso pur in un'architettura composita, protrattasi dal tardo gotico al rinascimentale a elementi barocchi, e per la cripta, lo straordinario gruppo fittile del Compianto sul Cristo morto, il magnifico organo Antegnati. 

C'è l'arte, dunque, di uno dei luoghi più belli della città, ma c'è anche il vissuto, l'affetto simbolico per una delle chiese più capienti del centro (forse seconda solo al Duomo nuovo), fulcro dell'antico cuore popolare alle pendici del colle Cidneo. Difficile, allora, scegliere luogo più significativo e suggestivo per il primo concerto condiviso in memoria delle vittime del coronavirus, qui dove il morbo ha colpito con particolare ferocia.

La musica è quella di Vivaldi, che era bresciano per parte di padre, e il cardine del programma è proprio lo Stabat Mater commissionato dai Padri della Pace della congregazione di San Filippo Neri per la celebrazione dei Sette Dolori nel 1712 in uno spazio non ancora identificato, giacché il cantiere della futura Chiesa della Pace non era ancora stato avviato (sarà, infatti, consacrata solo nel 1746). La voce è quella di Raffaele Pe, anche lui di origini bresciane per via paterna, ma nato a Lodi, a due passi dai primi epicentri italiani della tragedia. Per cantare il dolore straziante della Madre sotto la croce e, poi, nel Nisi Dominus lo slancio verso il futuro nell'amore per i figli, anche qui i valori simbolici si intrecciano in maniera indissolubile a quelli concreti. Anche a un'idea di ripresa, di ritorno alla vita, giacché per il Teatro Grande l'idea di un concerto vivaldiano con Raffaele Pe e l'ensemble La Lira di Orfeo risale a prima della pandemia e ora si è concretizzato con valori inaspettati, riallacciando il legame con i progetti interrotti, rinnovandoli con nuove emozioni, nuove riflessioni.

La risposta della città è toccante. Sono necessarie due serate, un'anteprima per stampa e istituzioni, un'esecuzione aperta gratuitamente a tutta la cittadinanza, per cercare di rispondere alla domanda secondo le regole. Misurazione della febbre, igienizzante, mascherina (ovviamente anche durante il concerto, essendo al chiuso in uno spazio unico): tutto si fa volentieri, come segno di rispetto per il prossimo, per chi soffre e chi ha sofferto. Non si tratta solo di obbligo sacrosanto, non solo di tutelare noi stessi, ma tutta la comunità di cui facciamo parte, e di portare il segno tangibile della coscienza, della responsabilità e della condivisione.

Parla il presidente della Fondazione Teatro Grande, Franco Bossoni, parla il sindaco Emilio Del Bono, con poche parole, franche e prive di retorica, nel segno del commiato, della solidarietà, della memoria e della costruzione del futuro. In chiesa, alla presenza del parroco e del vescovo, la cerimonia è comunque prima di tutto civica, universale, non confessionale: la madre dolorosa è il simbolo di tutti coloro che hanno perso una persona cara, che hanno sofferto testimoni del dolore, lo slancio affettuoso e fiducioso verso le generazioni future resta tale quale che sia il "Dominus".

L'interpretazione di Raffaele Pe non può che essere vivida, coinvolta, emozionata. Anche fisicamente, la gestualità manifesta una partecipazione totale anche in quegli scatti che sembrano sottintendere un codice di concertazione con gli elementi dell'ensemble. Ispiratissimo, fraseggia con trasporto accorato sia nel canto di sbalzo, doloroso o giubilante, sia in quello patetico, o ancora nel sospiro drammatico dei passi sillabici prossimi al declamato. La messa di voce, il controllo delle dinamiche è forse l'espressione più intensa del suo canto, esaltata dal riverbero della Chiesa del Carmine, che pare particolarmente affine a questo repertorio. Lo stesso timbro eburneo, la franchezza dell'emissione ben tornita, naturale esprime sia la perfetta stilizzazione dell'estetica del primo Settecento, sia il messaggio trascendente e universale di dolore, condovizione e speranza, confermando una volta di più il livello notevolissimo cui è giunta la scuola controtenorile - soprattutto latina - con queste ultime generazioni. Voci con una ben precisa dimensione e identità, tecnicamente, musicalmente, espressivamente sempre più agguerrite e affinate.

L'intesa con l'ensemble è perfetta, cementata da una prolungata e stretta collaborazione, tant'è che anche con qualche distanza un po' più ampia fra i musicisti tutto risuona ben affinato e se l'introduttiva Suonata al Santo Sepolcro RV130 risulta la migliore apertura per una serata come questa, il Concerto madrigalesco RV129 offre poi un grato ristoro con la sua articolazione più serrata come cesura prima del Nisi Dominus.

Si applaude come a un concerto, finalmente, ma solo in parte, perché l'applauso è anche un segno di liberazione, di condivisione, di partecipazione. Far musica, ascoltare musica non è solo avere persone sedute silenziose e composte di fronte ad altre persone cche con voce o strumenti emettono delle note. Far musica è qualcosa di più, di cui fa parte un sentimento comune, di cui fanno parte i nostri vissuti, di cui fanno parte le pietre, gli affreschi i luoghi e i momenti in cui ci troviamo e in cui l'aria vibra nel suono.

Ora che questo torna a essere, possiamo davvero cominciare a ricostruire la vita e il futuro, mentre, per il luogo, la situazione, le persone (Vivaldi compreso), Raffaele Pe si congeda con un bis, un ultimo Amen.

foto Favretto


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