L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La varietà, gran pregio

di Roberta Pedrotti

Nel secondo concerto di Belcanto del Rossini Opera Festival, il tenore Jack Swanson spazia fra Rossini e Bernstein, Mozart e Poulenc mostrando con entusiasmo e comunicativa una visione del repertorio aperta e dinamica.

PESARO, 17 agosto 2021 - Dopo la Russia, gli Stati Uniti. Jack Swanson, che interpreta Florville nel Signor Bruschino, presenta il suo più approfondito biglietto da visita nel secondo concerto di belcanto del Festival. Un biglietto allegramente variopinto e cosmopolita, che spazia fra opera e arie da camera o da concerto, da Rossini, Bellini e Mozart, a Bernstein, Weill, Quilter, da Poulenc a Puccini e Tosti. Un bel tour de force in cui si mostra ben disinvolto anche nel passare dall'italiano all'inglese al francese.

Nel Rossini operistico (“Languir per una bella” dall'Italiana in Algeri) e nel Mozart più drammatico dell'aria da concerto "Misero, o sogno" i passi d'agilità o comunque più concitati sono accompagnati da una postura un po' scomposta, ma il tenore mette anche in luce una bella brunitura del timbro e un porgere sempre comunicativo e accattivante. Soprattutto, piace poi il suo assecondare le sospensioni o le frenesie surrealiste di Poulenc (C e Fêtes galantes), o la sua confidenza idiomatica con il Candide di Bernstein (“It must be so”) e con il Weill statunitense (“Lonely house” da Street scene), così come il raffinatissimo song shakeapeariano di Roger Quilter (1877-1953).

Il programma è decisamente eterogeneo, ma un eclettismo così schietto ed estroverso, magari non indimenticabile in ogni brano ma comunque convincente, non spiace affatto, specie se getta un ponte plausibile fra la tradizione belcantista e cameristica italiana e il Novecento che ammicca al musical e alla canzone con sofisticata consapevolezza. Insomma, un recital godibile, che Gianni Fabbrini non solo accompagna con la consueta sensibilità alle ragioni del canto e dello stile, passando con nonchalance da un autore all'altro, da un genere all'altro, fra teatri e salotti; è a sua volta solista nel quinto Rien rossiniano dal Péché de vieillesse, in Anniversaires to Susanna Kyle, Stephen Sondheim, Johnny Mehegan di Bernstein e nell'Improvvisation n. 13 di Poulenc.

Alla fine, dopo una breve carrellata tostiana che sembra quasi un omaggio statunitense all'idea di melodia "all'italiana", Swanson e Fabbrini propongono due fuori programma: la Danza di Rossini ha un piglio simpaticamente guascone, e pazienza se il tenore statunitense arruffa qualche verso; “Maria” da West side story era auspicata (e un po' prevedibile): non ha deluso, anzi, ha dimostrato come un buon tenore che conosce, pratica e ama questo – e altro – repertorio sappia esprimerlo in maniera coinvolgente ma non superficiale. Il pubblico festeggia volentieri.


 

 

 
 
 

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