L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Viva Rossini

di Roberta Pedrotti

Il recital di Anna Bonitatibus e Adele D'Aronzo è un'esplorazione intelligente e sofisticata della poetica rossiniana e della sua ricerca musicale sotto il segno delle sue muse reali e ideali e dell'omaggio a Dante Alighieri.

PESARO, 19 agosto 2021 - Se i primi due concerti di Belcanto, Tatarintsev e Swanson, ci hanno fatto meglio conoscere due artisti impegnati nel Festival e poco noti nei nostri lidi, il terzo ci ha ricondotti alla radice fondante del Rof con le doti riconosciute di Anna Bonitatibus, cantante, sì, ma soprattutto musicista e ricercatrice, rossiniana ardente che ha confezionato un programma di altissimo valore. Si comincia con il Rossini adolescente che dedica “Se il vuol la molinara” a Vincenzina Viganò Mombelli, librettista della sua prima opera Demetrio e Polibio e madre del soprano Maria Ester e del contralto Marianna, e si giunge all'estremo L'ultimo ricordo a Olympe Pélissier, la seconda moglie.

Fra donne reali e ideali, muse concrete ed eroine letterarie, le perle del Rossini cameristico alternano pagine più frequentate a rarità che rasentano – salvo smentita – l'inedito, né mancano arie di pugno di Isabella Colbran (se Gioachino fu ottimo cantante non professionista, la moglie diva del palcoscenico non fu da meno, di rimando, come validissima compositrice in privato) e Maria Malibran. Trovano posto anche due pagine operistiche, che però si illuminano in questa nuova veste: a Gertrude Righetti Giorgi – l'amica dei tempi di formazione bolognese, che, già ritiratasi a vita privata, Rossini rivolle sulla scena per essere la sua prima Rosina e Angelina – si dedica “Una volta c'era un re” dalla Cenerentola, che già, per la sua natura di canzonetta apparentemente semplice già era stata trasformata in aria da camera come Légende de Marguerite; nell'anno dantesco, rappresentato pure da L'âme du Purgatoire, a Francesca da Rimini, al fianco del recitativo drammatico dantesco musicato espressamente, si consacrano anche i versi “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria” prestati dal tenore goldoliero dell'Otello al mezzosoprano concertista. Non è un arbitrio, ma un'innamorata rilettura che porta alla ribalta, da contesti diversi, l'essenzialità distillata di una scrittura rossiniana che troppo spesso si identifica solo con un'esuberanza rigogliosa. Eppure quelle stesse esuberanze di crescendo e virtuosismi non possono e non devono essere considerati alla stregua di piacevolissime ebbrezze sensoriali, ma come espressioni parimenti estreme di una profonda idea musicale.

Non c'è un solo brano che si distragga da una selezione rigorosissima, da accostamenti studiati come quello, per esempio, fra le Deux gammes chinoises per pianoforte solo e L'Amour à Pekin. , che tra l'altro ci permette di sottolineare la bravura di Adele D'Aronzo, protagonista non meno di Bonitatibus del tributo al genius loci.

Ricordandoci che siamo qui per Rossini, che è Rossini il fulcro del festival e anche i divi più conclamati devono (dovrebbero) solo rendere omaggio alla musica e al teatro musicale, ci ritroviamo ad applaudire freneticamente un programma che nulla concede al noto, al familiare, all'accattivante, ma punta con sofisticata intelligenza esclusivamente al cuore di Rossini. Che è il cuore del festival. Così, i bis sono pure rari, preziosi, ma come miniature delicate, Mi lagnerò tacendo che riecheggiano da lontano le prime intonazioni dei versi metastasiani che Rossini potrebbe aver conosciuto, quelle uscite dalla penna della prima moglie Isabella Colbran. Da lì sono fiorite le mille, minute possibilità espressive – o astratte – di uno stesso testo, rifrazioni di una poetica capace di sorprendere e stimolare senza mai esaurirsi.


 

 

 
 
 

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