L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Napoleone e l'Europa della musica

di Roberta Pedrotti

Il Festival Paisiello di Taranto si apre con un recital sofisticato, pieno di rarità intrecciate con sapienza da Anna Bonitatibus e Adele D'Aronzo, che con la qualità conquistano anche i neofiti nel pubblico.

TARANTO, 20 settembre 2021 - Pesaro ha fatto scuola come punta di diamante dei festival musicali monografici italiani e da qualche anno Parma prima e Bergamo poi hanno cominciato a delineare la loro identità con sempre maggior forza. Anche il Festival di Torre del Lago sembra intenzionato a liberarsi dal pantano in cui era scivolato negli anni scorsi e ora gli occhi si puntano anche speranzosi su Catania. Ma non si vive solo della magica rosa Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi e Puccini. Per esempio, c'è Paisiello, nella vulgata forse ancora trasformato nel vecchietto codino e invidioso che trama ai danni del Barbiere di Siviglia del giovane pesarese (nulla di più falso, ma, si sa, nulla ha più fortuna dei complotti di fantasia) e invece uno degli esponenti di punta di quella fase fecondissima della storia della musica occidentale che si pone a cavallo fra XVIII e XIX secolo. Quindi, fra la morte di Mozart e l'esplosione di Rossini, sicché, ancora una volta, schemi e riassunti finiscono per derubricarla a transitorio interregno. Ben venga, allora, un festival dedicato proprio a Paisiello, nella sua natìa Taranto, territorio non facile, per di più con la vicina Martina Franca a far ombra, ma ancor più bisognoso, allora, di un arricchimento delle proposte che valorizzi una città che deve ancora scrollarsi di dosso le polveri dei veleni industriali. In realtà, Taranto è bellissima, con il suo incrocio scintillante fra Mar Piccolo e Mar Grande, la colonna dorica, il centro storico, un museo archeologico (il MarTa) che sarebbe un delitto non visitare almeno una volta nella vita e non teme confronti internazionali; inutile dire, poi, che fra Salento e Ionio si mangia divinamente. Perfino il Teatro Fusco, sala dei primi del 900 di interesse limitato, svela fra camerini e retropalco sorprese archeologiche con le vestigia dell'anfiteatro romano, quasi un simbolo di una città fatta di tesori nascosti. Non ultimo, appunto, Paisiello.

Il festival 2021 deve fare ancora i conti con la pandemia e si costruisce mattoncino su mattoncino fra concerti e incontri guardando a sviluppi futuri (come la ristrutturazione – finalmente – della casa dove il compositore visse bambino e probabilmente nacque). Non si fanno sconti, però, fin da subito, con un'inaugurazione d'alto profilo artistico e culturale. D'altra parte ormai si sa che il nome di Anna Bonitatibus è garanzia di una serata costruita con senno, intelligenza, senza una sola scelta scontata, anzi, con alta probabilità di scoprire inediti e rarità. Così è. A duecento anni dalla morte di Napoleone Bonaparte, la sua epopea è ricostruita attraverso una carrellata di brani legati per un motivo o per l'altro alla sua biografia e al suo tempo, alla circolazione di uomini e idee in un'Europa in formazione dopo il crollo dell'ancien régime e il deflagrare delle rivoluzioni.

I fili che si intrecciano sono molti, con chiarezza e coerenza: c'è, per esempio, la mitica aria “Ombra adorata aspetta” del castrato Girolamo Crescentini, che la interpolava nel Romeo e Giulietta di Zingarelli incantando Napoleone. Ci sono le allieve più celebri di Crescentini: Giuseppina Grassini - con “Paga fui, fui lieta un dì”, in prima esecuzione moderna, dalla Proserpina di Peter von Winter – e Isabella Colbran – con due arie da camera da lei stessa composte, “Quel cor che mi prometti” e “Mi lagnerò tacendo”. Ci sono gli italiani che, con rapporti spinosi o gratificanti, giunsero a Parigi ed ebbero a che fare con il Corso, da Paisiello, naturalmente, e dalla sua epocale Nina pazza per amore, a Cherubini (la romanza “Arbre charmat qui me rappelle”, in prima esecuzione moderna), Spontini (“O des infortunés, déesse” dalla Vestale), Paer (l'arietta “Io d'amore, oh Dio mi moro”, pure in prima moderna). Con gli italiani fra Pietroburgo e Parigi, incontriamo le peregrinazioni europee anche del ceco Jan Ladislav Dussek (1760-1812), del bavarese Winter (1754-1825), nonché di Franc Joseph Haydn, di cui ci è offerto l'ascolto rarissimo in un song in lingua inglese, “She never told her love”. D'altro canto, ecco pure la fascinazione di Beethoven per la tradizione italiana, e il Lied Adelaide che circola nella traduzione “Nel giardino solingo”, ecco l'accostamento finale fra Schubert (Wanderers Nachtlied) e Rossini (“Infelice ch'io son” e “Beltà crudele”). Si raccontano scambi, viaggi, ma anche affinità e koiné, fra teatro e repertorio camerististico, fra classicismo e tensioni verso l'imminente belcanto consacrato, guardacaso, dal Pesarese soprannominato “Napoleone della musica”. E quindi si tratta di storie di artisti, di idiomi, di stili che Anna Bonitatibus declina, more solito, con finissimo canto sulla parola, perfetta padronanza retorica, con debita sprezzatura sul coturno o nel salotto.

C'è però anche un'altra storia, ed è quella strumentale. Adele D'Aronzo al piano non solo duetta con la voce in perfetta sinfonia, è pure solista in una triade emblematica di un momento cruciale dell'evoluzione dal fortepiano al moderno pianoforte. Decisamente fortepianistica – peccato ascoltarla su strumento moderno! – è la scrittura della sonata Les adieux di Paisiello, in cui si percepisce già una sensibilità in mutamento, ancor più netta nel rondò L'adieu di Dussek, magari meno interessante musicalmente, ma eloquente sul piano tecnico, come poi sarà la squisita Monferrina di Muzio Clementi, che sembra quasi uno sfoggio orgoglioso e gioioso delle nuove conquiste dello strumento che si va perfezionando.

La cosa più entusiasmante, e che deve far riflettere sulle proposte che non devono mai essere al ribasso, è constatare che nel pubblico fa capolino qualche eminente musicologo, ma per la maggior parte i discorsi che si intercettano non paiono esattamente di cultori specializzati, eppure l'attenzione è vivissima, il coinvolgimento palpabile, gli applausi entusiasti. La qualità paga sempre. In questo caso ripaga a sua volta con una ghiottissima selezione di bis. Ascoltiamo Beethoven che rende omaggio all'amato Paisiello con le due versioni (buffa e seriosa) dell'Amante impaziente, ascoltiamo un inedito sorprendente sia per contesto sia per effettiva qualità: l'elegia che Hortense Beauharnais – figlia di primo letto di Josephine, moglie di Luigi Bonaparte e madre di Napoleone III, oltre che compositrice di un certo talento – dedicò al patrigno/cognato Napoleone nel suo esilio. E, d'altra parte, un festival non deve forse far sentire ciò che non si troverebbe da nessun'altra parte? Ora aspettiamo e auspichiamo solo che questo festival possa crescere come Paisiello e Taranto meritano.


 

 

 
 
 

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