Le sorprese del salotto
di Roberta Pedrotti
Successo incandescente per il recital In salotto con Verdi. Lisette Oropesa e Francesco Izzo, musicologo e pianista, costruiscono una serata d'alto valore musicale e travolgente partecipazione.
PARMA, 7 ottobre 2021 - Quattro bis, il teatro Regio si alza in piedi e non smette di acclamare. Gli animi erano già accesi, anche con il primo fuori programma giustamente meditativo, Pietà signor di Verdi e Boito dedicato in origine alle vittime del terremoto in Calabria e Sicilia del 1894 e ora rinnovato per la pandemia, seguito dalla Promessa di Rossini, in linea con il tema della scaletta ufficiale, sembrava chiudere i giochi. E invece no, perché bisogna salutarsi nel nome del padrone di casa, e allora Lisette Oropesa attacca "Caro nome". E non basta, perché l’appetito, specie a Parma, vien mangiando, soprano e pianista (Francesco Izzo) si guardano e “Ora siamo veramente in salotto, perché questa non l’abbiamo mai provata”, un accordo, lei non fa in tempo ad attaccare “È strano” e la sala esplode. Addirittura, la cronaca e i video fanno subito il giro del web, quando arriva il momento un ignoto tenore orientale - presumibilmente uno studente del conservatorio cittadino si alza in piedi e fa da pertichino “Ah, quell’amor ch’è palpito dell’universo intero…”. Stupita ma prontissima di spirito, Lisette ringrazia e duetta con l'imprevisto Alfredo. Croce e delizia, è proprio il caso di dire, per l’epilogo surreale, e per questo spassosissimo, di una serata di quelle che si definirebbero d’altri tempi.
Partendo dal fondo vediamo una faccia della medaglia, quella della Parma melomane ruspante, dell’effetto sorpresa, dei brindisi con le stelle della musica, la Parma che profuma di grandi voci e culatello, lambrusco e do di petto, cori e stagionature a trentasei mesi. Però, alla base, c’è anche altra sostanza, quella di un festival che - evviva! - da qualche anno si è messo a fare sperimentazione e ricerca e che queste serate al calor bianco le scatena mettendo le persone giuste con il programma giusto senza far sconti quanto a finezze di pensiero.
Sì, perché il concerto impaginato da Izzo (qui pianista, ma anche musicologo del comitato scientifico dell’Istituto Nazionale Studi Verdiani) e Oropesa con il Festival entusiasma proprio perché intelligentissimo nel delineare reti di temi e riferimenti nel mondo della musica vocale da camera al tempo di Verdi. Si comincia con Mercadante (La stella, La primavera) e subito arriva una panoramica fra il Verdi giovanissimo, men che esordiente sulle scene teatrali, e la piena maturità: È la vita un mar d’affanni del 1844, Stornello del 1869, Chi i bei dì m’adduce ancora del 1842 e Perduta ho la pace del 1838. Quest’ultima non può che affiancarsi alla Gretchen am Spinnrade di Schubert, che dallo spesso passo del Faust di Goethe è ispirata, ripiegando poi di ritorno su un Lied in italiano, Vedi, quanto adoro, dello stesso viennese. Siamo in salotto, si massimi vertici della musica da camera: inevitabile assaggiare le uniche composizioni per piano solo di Verdi, la Romance sans paroles del 1844 e il Valzer d’una quindicina d’anni successivo. Abbiamo detto Valzer? Quello reso famosissimo dall’arrangiamento di Rota per Visconti? Detto fatto, un altro Valzer, cantato, chiude la prima parte del concerto: è di Luigi Arditi, ma non è Il bacio, bensì l’ammiccante e meno noto Valse de belles viennoises. La seconda parte, per contrasto, si fa strada fra malinconie e intimi ripiegamenti, perfino spiritualità, con le sei ariette di Bellini - fra cui, appunto, Malinconia, ninfa gentile - Donizetti che proprio sulla morte del collega siciliano intona un sentito lamento, Luigi Luzzi con la sua non disprezzabile Ave Maria. Però, di Donizetti fa capolino anche uno spumeggiante L’amante spagnuolo, che pare lanciare l’esca per la Mazurka di Chopin, a ricordare che in salotto si suonava e si cantava senza tanti recinti fra i generi, e soprattutto per due veri e propri boleri: L’invito di Rossini e "Merci, jeunes amies" dai Vêpres siciliennes di Verdi (opera sì, alla fine, per un programma che vuole esaltare il salotto e non tracciare confini). A ben guardare, non solo solo gli accostamenti immediati a concatenare i brani e tracciare il filo logico della serata; c’è, bensì, una grande forma ciclica: ogni parte si muove in crescendo dall’introspezione all’estroversione; l’eros domina in apertura e chiusura con una parentesi spirituale in cui si prega e si riflette sulla morte o le perdite. E quanto sono delicate le ombre, tanto le tematiche amorose sono trattate con una spudoratezza degna dei salotti di Marguerite Gauthier e colleghe nel romanzo di Dumas, con tutti quei sottintesi nemmeno troppo velati (all’epoca a cui risalgono questi brani l’accezione erotica di verbi come venire, morire, spirare era pressappoco equivalente e versi come “vieni mia vita, fammi spirar” o, "Baciarlo potessi, far pago il desir! Baciarlo! e potessi baciata morir.”, come l’ascesa a “Und ach! sein Kuss” in Schubert, sono adeguatamente sottolineati dalla musica fra crescendo, akmé e quiete repentina come in un trattato di Master e Johnson).
Per dosare bene tutti gli ingredienti ci vuole la persona giusta e la persona giusta è senz’altro Lisette Oropesa. Si presenta nel nostro salotto allargato con un bell’abito ispirato alla moda risorgimentale, ma lo sdrammatizza con la grazia di una Fille du régiment che ha imparato le buone maniere senza perdere la sua genuinità. Resta in equilibrio fra il personaggio che via via incarna, sia pure per un cameo di pochi minuti, e la dimensione concertistica in cui è e deve essere sé stessa. Musicista finissima, fa ciò che vuole con la sua voce leggera e penetrante, e per fortuna ciò che vuole è fraseggiare con gusto, intenzione, ispirazione, garbo e malizia. Non lascia nulla al caso ma appare spontanea, empatica, con uno sguardo e un sorriso conquista il pubblico e questa non è gigioneria, è arte. Quando un artista vuole fare il simpatico e ostenta solo sé stesso lo si riconosce, e non è questo il caso: qui Lisette Oropesa trasmette solo amore per quel che fa, amore per il pubblico, gioia nel dar vita a questa musica e a questi versi.
Va da sé, allora, che l’amore sia ricambiato, che le ariette da salotto portate in primo piano destino l’entusiasmo del melomane magari abituato nei recital a sentirle scorrere come scaldavoce in attesa delle arie d’opera più popolari.