L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Poker d’assi

di Antonino Trotta

L’inaugurazione della nuova stagione dell’Unione Musicale di Torino è affidata al virtuosismo di un quartetto affiatatissimo: Hyeyoon Park, Timothy Ridout, Kian Soltani e Benjamin Grosvenor offrono convincenti pagine di Mahler, Schumann e Strauss.

Torino, 6 ottobre 2021 – Dopo quasi due anni di programmazioni saltate e chiusure preventive, un’inaugurazione di stagione provoca un brivido che va ben oltre la semplice eccitazione del calcio di inizio: segna il definitivo avvicinamento all’agognato traguardo di un ritorno alla normalità, quand’anche la normalità risulti leggermente diversa da ciò che per essa s’intendeva prima della pandemia; decreta la piena ripresa di un settore che, secondo criteri ancora incompresi, per prima e per più a lungo s’è penalizzato rispetto agli altri; ufficializza il ripristino di una socialità garbata, ossequiosa, che si realizza sempre con mezzi assennati e discreti. All’Unione Musicale di Torino suddetta conquista si festeggia, tra il giubilo di una sala – quella del Conservatorio Giuseppe Verdi – piena nei limiti delle (allora) consentite disponibilità, con un concerto affidato alla violinista Hyeyoon Park, al violista Timothy Ridout, al violoncellista Kian Soltani e al celebre pianista inglese Benjamin Grosvenor, unitisi in un quartetto che durante la serata offerta s’impone per virtuosismo e temperamento.

<p">Il Movimento di Quartetto in la minore, uno tra i primi esercizi di composizione di un sedicenne Gustav Mahler, mette in luce fin da subito l’affiatamento che lega i quattro musicisti: l’esecuzione del Quartettsatz è intensa per la carica emotiva con cui si legge il testo, chiaroscurale nella palette di colori intavolata, ardimentoso per la scansione agogica che divora il tessuto ritmico della partitura e trova la sua esplosione nella breve cadenza centrale del pianoforte solo che impegna Grosvenor in una cascata di ottave al fulmicotone.

La forza dionisiaca che nel Quartettsatz di Mahler era motore drammatico dell’azione musicale, nel Quartetto in mi bemolle maggiore op.47 di Schumann trova una forma più intelligibile, quella della brillantezza, del virtuosismo in punta di fioretto, lasciando tuttavia anche spazio a momenti di altissima musicalità. Se allora l’Allegro iniziale e lo Scherzo in seconda posizione abbagliano per l’autorevolezza tecnica con cui si dà vita a questi momenti di accattivante furore, tutti animati da accenti istrionici e nervosi che elettrizzano l’atmosfera della scrittura schumanniana, l’Andante cantabile centrale vede i quattro artisti coinvolti in un’interpretazione di bruciante liricità: nell’arco di una lunga arcata si ascolta il tema peregrinare tra una variazione e l’altra, lo si vede vibrare prima sul ponticello teso e patetico del violino, poi posarsi sulle corde sensuali del violoncello, quindi adagiarsi comodo sull’accogliente tastiera del pianoforte; infine riunisce tutti gli strumenti in una variazione finale, dove tutti partecipano con fioriture e abbellimenti che esaltano la bellezza dell’idea melodica, che leggiadra e sognante viaggia spedita verso l’eterea Coda conclusiva. Di nuovo scalpitante e pieno d’energia il Finale, iridescente nel suo libero intreccio di forma sonata e rondò, sempre incisivo nella stoccate che presentano gli argomenti del materiale contrappuntistico alla base del capitolo di chiusura.

La presenza in organico di un pianista eccellente come Grosvenor si rivela una risorsa non da poco nel Quartetto in do minore op. 13 di Richard Strauss, in conclusione di serata: il percorso tortuosissimo, fatto di sterrati armonici e tornanti tecnici, tracciato dal Sostenuto assai – Allegro ma non troppo incoativo fonda la sua resa di spessore nella frizione tra tastiera e archi, impegnate in un confronto acceso e talvolta violento che pare ribaltare le prospettive classiche del quartetto. La poetica delle forze oppositive è una caratteristica però comune all’intera composizione: la si ritrova nello Scherzo, che si apre all’insegna di un tecnicismo serrato, si individua persino nell’Andante cantabile, il movimento lento dove gli archi – spesso all’unisono – raccolgono le idee proposte dal pianoforte solo per amplificarle, e trova la sua naturale deflagrazione nel vorticoso epilogo del Finale.

Accolti da applausi calorosissimi, i quattro musicisti regalano al pubblico dell’Unione Musicale una vera chicca della letteratura cameristica: il celeberrimo Rondò alla zingarese dal Quartetto n.1 per pianoforte e archi in sol minore op.25 di Brahms. Serata davvero ragguardevole, ma infondo la cosa non ci sorprende.


 

 

 
 
 

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