Sokolov romantico
di Stefano Ceccarelli
Grigory Sokolov torna nella stagione da camera 2021/2022 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con un recital incentrato sul più puro romanticismo musicale: le 15 Variazioni e Fuga in mi bemolle maggiore op. 35 di Ludwig van Beethoven; i Tre Intermezzi op. 117 di Johannes Brahms; e Kreisleriana op. 16 di Robert Schumann.
ROMA, 11 aprile 2022 – Grigory Sokolov è ormai una presenza fissa nei cartelloni dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Un folto pubblico accorre sempre per sentirlo suonare, per godere della precisione millimetrica del suo pianismo, calibrato fin nei più intimi respiri, in omaggio alla più pura tradizione russa. Il programma scava il sentimento romantico dai suoi albori, con Beethoven, fino a Brahms, che ne è un frutto maturo.
Il primo tempo inizia con l’esecuzione delle 15 variazioni e Fuga per pianoforte in mi bemolle maggiore op. 35 di Beethoven. Sokolov deliba ogni corda del variopinto succedersi delle variazioni, che dipanano un tema dal carattere limpido, a tratti ironico, se non proprio sornione; tale tema, prismatico nel suo essere versatile, viene variato in una miriade di versioni cangianti per ritmo, abbellimenti, stile, maniera. Sokolov ha un tempo ottimale, l’esecuzione è limpida, cristallina, atta ad esaltare ogni timbro inventato da Beethoven, che non si esime dal portare l’esecutore in aree impensate all’epoca: gioco, ironia, virtuosismo, percussionismo puro, tutto è tessuto abilmente nell’invenzione beethoveniana. Sokolov rende giustizia a ogni nuance, alla brillantezza di ogni passaggio. Chiudendo gli occhi, in taluni passi – soprattutto quelli più spediti delle variazioni finali, giocati su studiate figurazioni ritmiche, su abbellimenti cristallini – pare quasi di ascoltare in potenza ciò che Chopin avrebbe realizzato anni dopo. Il primo tempo si chiude con un’esecuzione appassionata, a tratti persino sensuale, dei Tre intermezzi op. 117 di Johannes Brahms. Sokolov è un artista che trova nella purezza della forma la sua espressione più naturale. Per tale ragione, la velata malinconia dei passaggi brahmsiani, l’impasto chiaroscurale di molte sezioni di questi intermezzi avrebbero potuto essere, volendo, sacrificati sull’altare della perfezione formale. Invece, Sokolov stupisce il pubblico per intensità dell’espressione del sentimento, facendosi trasportare a tal punto da perdere una nota o due, qua e là. Non importa, naturalmente, giacché il Brahms che Sokolov ci regala è di prim’ordine. Nell’Intermezzo n. 1, l’interprete ci culla nella malinconica dolcezza di una ninna-nanna; l’Intermezzo n. 2, che è «l’emblema della Sehnsucht, una sorta di struggimento e di tensione verso l’inafferrabile» (come ben scrive Luca Ciammarughi, nel programma di sala), vede Sokolov sciogliere il perlaceo moto perpetuo che ne costituisce la struttura; nell’Intermezzo n. 3, cangiante per ritmi, volumi, melodie, il russo si destreggia in una materia melodica instabile, ma perennemente seducente.
Il secondo tempo del concerto è tutto dedicato all’esecuzione di Kreisleriana. Lo Schumann di Sokolov è indugiante, mai eccessivamente affrettato. L’esecutore scava nel pensiero schumanniano mettendone a nudo ogni screziatura, ogni variazione ritmica, ogni figurazione. Forse lo Schumann di Sokolov non è dei più aderenti alla tradizione interpretativa di Kreisleriana, non si slancia in impeti burrascosi, non si compiace di abbandonarsi a tormenti emotivi troppo scoperti; eppure, questa lettura di Kreisleriana, più limpida, più sgranata – se mi si passa il termine – di altre, riesce a condurre l’ascoltatore nel cuore puramente sonoro di Schumann, senza sacrificarne lo Sturm und Drang. Semplicemente, Sokolov rende quel sentimento in maniera più tersa rispetto ad altre possibili letture. La bellezza di un tale approccio, ancorché estetica, si fa emotiva soprattutto nell’VIII variazione, quella finale, dove Sokolov gioca con gli impasti timbrici e volumetrici del tema ‘cavalleresco’, inserendo accordi accorati, che conducono alla coda sospesa. Sono molti i momenti memorabili dell’esecuzione di Sokolov: la dolcissima resa della diafana melodia della II variazione; la notturna, luciferina cavalcata della III (dal sapore lisztiano); e la VI, con i suoi netti contrasti, i ritmi miscelati che rimandano a differenti tradizioni e stili. Il pubblico, alla fine dell’esecuzione, applaude senza sosta l’esecutore, che regala, invero, una vera e propria terza parte del suo concerto. Fra applausi sempre più caldi, Sokolov inanella l’esecuzione di ben sei bis, partendo certamente dal programma del concerto, con l’appassionato Brahms della Ballata n. 3 op. 118, ma arrivando fino a Skrjabin (Preludio n. 4 op. 11), Rachmaninoff (i Preludi nn. 9 e 10 op. 23), per ritornare, poi, indietro, con uno Chopin breve ma intenso (Preludio n. 20 op. 28) e per terminare con un catartico Bach, eseguendo il suo Corale e preludio “Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ”, BWV 639.